IL CASO PORDENONE Anche ieri, nonostante la pressione dal basso, cioè quella

IL CASO PORDENONE Anche ieri, nonostante la pressione dal basso, cioè quella
IL CASOPORDENONE Anche ieri, nonostante la pressione dal basso, cioè quella sui Pronto soccorso, sia segnalata in diminuzione in tutta la regione, nei reparti di Medicina Covid...

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IL CASO
PORDENONE Anche ieri, nonostante la pressione dal basso, cioè quella sui Pronto soccorso, sia segnalata in diminuzione in tutta la regione, nei reparti di Medicina Covid del Fvg il numero dei pazienti ricoverati è salito. Di sole due unità - da 691 a 693 - ma è salito. Diverso il discorso legato alle Rianimazioni, che seguono un binario a parte: nelle ultime 24 ore, ad esempio, si è verificato un calo di cinque pazienti, da 63 a 58. Ma nella seconda ondata è in Area medica che si sente di più l'acqua alla gola. E c'è un fattore, che unito all'effetto del Covid, sta facendo esplodere gli ospedali della regione: la catena composta da dimissione, ricovero in riabilitazione e ritorno nella propria abitazione si è spezzata. E in corsia finiscono per rimanere persone che non avrebbero più bisogno delle cure ospedaliere: sono sia positivi che negativizzati rispetto al Coronavirus, e in provincia di Pordenone - ad esempio - hanno toccato anche punte di 10-20 persone nello stesso momento. Si tratta di pazienti che potrebbero lasciare l'ospedale (e quindi il proprio posto letto, che diverrebbe libero) ma che per diversi motivi non trovano posto altrove. È anche così, che il sistema va in tilt.

I NODI
Un sistema delle cure intermedie insufficiente (già prima della pandemia), le Rsa Covid piene, quelle non Covid che fanno fatica ad accogliere pazienti. Sono alcune delle ragioni alla base del blocco parziale delle dimissioni che contribuisce a intasare gli ospedali. Ma c'è dell'altro. Sono sempre più frequenti, infatti, delle vere e proprie diffide inviate dalle famiglie dei malati agli ospedali: «Non dimettete il nostro parente», è il senso delle missive. Anche verso le abitazioni, infatti, il flusso delle dimissioni è in difficoltà: ci sono famiglie che - per paura del contagio (nel caso di pazienti positivi) - o per difficoltà legate all'assistenza, premono sempre più affinché il ricovero si allunghi. E per spingere sui reparti si servono della penna del legale di fiducia.
LA CATENA
Il paziente positivo che può essere dimesso ma che ha bisogno ancora di assistenza, deve transitare dalle Rsa Covid, a Sacile e a Maniago. Le due strutture sono praticamente sempre piene. E il problema è legato alla seconda parte dell'imbuto: dalle Rsa Covid, infatti, il percorso dovrebbe proseguire verso le Rsa non Covid e verso il domicilio. Ma è proprio lì che la salta la catena: i posti per negativi (e negativizzati) sono stati ridotti proprio per aprire le Rsa Covid e la ritrosia di molte famiglie a riaccogliere pazienti anziani e debilitati in casa fa il resto. Così le degenze nei reparti per acuti (in provincia si parla delle Medicine Covid di Pordenone) si allungano inesorabilmente e non di rado si assiste a letti occupati da pazienti che di fatto non dovrebbero più stare in ospedale.
LE TESTIMONIANZE

«È un grosso problema - ammette Guido Lucchini, presidente dell'Ordine dei medici della provincia di Pordenone -. Se il medico del reparto firma le dimissioni di un paziente, quel paziente deve essere dimesso. Non si possono inventare i letti in ospedale. Il sistema territoriale, fuori dagli ospedali e dalle Rsa, è perfettamente in grado di seguire le persone a casa, grazie all'assistenza domiciliare e ai servizi sociali nei casi più gravi. Esiste una sorta di ospedale diffuso che può prendersi cura di tutti, non bisogna bloccare le dimissioni. Altrimenti, se il turnover dei pazienti non segue un ritmo preciso, la pressione si trasferisce immediatamente sui reparti di Pronto soccorso. E alle famiglie dico: «Non ricattate i medici, se firmano le dimissioni di un paziente significa che quella persona non ha più bisogno di un'assistenza dedicata ai malati acuti». Nella maggior parte dei casi le dimissioni sono complicate quando si tratta di pazienti molto anziani, che a domicilio necessiterebbero di un'assistenza maggiore rispetto a quanto accadeva prima del ricovero. E le Rsa non Covid non sono sempre la soluzione, perché devono poter garantire anche i posti standard, dedicati alla riabilitazione. «Il problema è noto - ha spiegato il vicepresidente del Fvg, Riccardo Riccardi - e riguarda la rete delle cure intermedie, che dovremo implementare anche dopo la pandemia».
Marco Agrusti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino