IL CASO MARTELLAGO (VENEZIA) Niente risarcimento dallo Stato per i familiari

IL CASO MARTELLAGO (VENEZIA) Niente risarcimento dallo Stato per i familiari
IL CASOMARTELLAGO (VENEZIA) Niente risarcimento dallo Stato per i familiari di Jennifer Zacconi: la Corte d'Appello di Roma ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva...

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IL CASO
MARTELLAGO (VENEZIA) Niente risarcimento dallo Stato per i familiari di Jennifer Zacconi: la Corte d'Appello di Roma ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva condannato la Presidenza del Consiglio a liquidare ottantamila euro ad Anna Maria Giannone, mamma della ventenne di Olmo di Martellago, nel Veneziano, incinta in nove mesi, trucidata il 30 aprile 2006 dall'amante e padre del piccolo che portava in grembo, Lucio Niero. La vicenda ebbe un'eco vastissima, anche per l'efferatezza del crimine: l'omicida, allora 34enne, sposato con due figli, massacrò di botte la ragazza e la seppellì ancora viva in una buca scavata in un terreno alle spalle di un distributore di Maerne di Martellago, il paese dove abitava, simulando un allontanamento volontario della giovane, salvo poi fuggire a Milano quando comprese che il cerchio delle indagini si stava chiudendo attorno a lui.

LA FUGA
Fuga durata poco: una settimana dopo confessò e fece ritrovare il cadavere ai carabinieri. L'assassino, che sta scontando la pena definitiva di trent'anni di carcere, fu condannato anche a una provvisionale di ottantamila euro a favore della madre e di 85mila euro per gli altri congiunti, ma, data anche l'ammissione al gratuito patrocinio, era emersa da subito la sua impossibilità a liquidare le somme. Di qui la causa pilota intentata dalla madre, che si era battuta anche per il riconoscimento del duplice omicidio del nipote (Niero è stato condannato solo per procurato aborto) e dal nonno, Giuseppe Giannone, assistiti dall'avvocato Claudio De Filippi, con la richiesta di condannare la Presidenza del Consiglio e il Ministero della Giustizia per la mancata attuazione della direttiva europea 80/2004, che conferisce alle singole vittime di reati intenzionali violenti, a cui non sia stato possibile conseguire il risarcimento dal reo, il diritto a percepire dallo Stato membro di residenza l'indennizzo equo e adeguato.
Il Tribunale civile di Roma, nel novembre 2013, accolse l'istanza, concedendo il risarcimento alla mamma (non al nonno) e ponendolo in carico non al Ministero ma alla Presidenza del Consiglio, spettando a quest'ultima la responsabilità per l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione Europea.
L'APPELLO
Un pronunciamento che fece clamore, essendo il primo caso del genere in Italia, ma che ora è stato sconfessato dai giudici della prima corte d'Appello di Roma (prima sezione civile), dove da Palazzo Chigi avevano appellato la decisione di primo grado: la sentenza è stata notificata in questi giorni alle parti.
I COMMENTI
«Lo Stato? Ma quando mai c'è stato», commenta amareggiato il padre della ragazza, Tullio Zacconi, che asserisce di avere a sua volta proposto un'istanza simile per lui e per l'altra figlia come quella dell'ex moglie, che peraltro è stato impossibile contattare. «Non hanno mai risposto né liquidato un euro, tra pochi anni rimetteranno in liberà anche l'assassino... Bisogna solo pagare le tasse e stare zitti: meglio che non aggiunga altro altrimenti potrei pentirmene».
Ma cos'ha spinto la Corte d'appello a ritenere non applicabile la direttiva europea in favore della Giannone? Secondo i giudici di secondo grado la direttiva essa sarebbe finalizzata a tutelare (solo) le situazioni transfrontaliere, vale a dire quanti rimangano vittima di reati violenti in un Paese europeo diverso dal loro. In secondo luogo, la Corte ha interpretato la nozione di vittima contemplata nella direttiva in senso proprio, limitata al soggetto su cui è caduta l'azione delittuosa, apparendo estranea, in linea generale, alla finalità di garanzia della libera circolazione un sistema indennitario a favore di altri soggetti non coinvolti nell'esercizio di tale diritto.
In sintesi, i familiari della persona offesa, anche se ammazzata, non rientrerebbero in questa nozione di vittima e come tali non possono vantare iure proprio, cioè per sé, il diritto all'indennizzo previsto.

Una lettura criticata dall'avvocato De Filippi, che ha già proposto ai propri assistiti di ricorrere in Cassazione, alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo e alla Corte di Giustizia europea, date le reiterate violazioni di questa direttiva da parte dello Stato: il legale, peraltro, dopo quello della Giannone, ha ottenuto altri pronunciamenti favorevoli su casi simili che ora vengono messi in discussione.
Nicola De Rossi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino