IL CASO LONDRA La Brexit di Boris ha il vantaggio di essere una Brexit, per così

IL CASO LONDRA La Brexit di Boris ha il vantaggio di essere una Brexit, per così
IL CASOLONDRA La Brexit di Boris ha il vantaggio di essere una Brexit, per così dire, rapida: entro il 31 gennaio si approva l'accordo raggiunto con Bruxelles e si può...

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IL CASO
LONDRA La Brexit di Boris ha il vantaggio di essere una Brexit, per così dire, rapida: entro il 31 gennaio si approva l'accordo raggiunto con Bruxelles e si può finalmente pensare al futuro di un accordo commerciale con la Ue da stringere e ratificare entro un anno. Peccato che né la Ue né qualunque esperto di politiche commerciali con un minimo di senno siano convinti che sia effettivamente possibile fare tutto così rapidamente. E peccato anche che, per dirla con il negoziatore capo della Ue Michel Barnier, il grosso della trattativa inizi adesso e che l'approvazione dell'accordo non è che il primo passo, un finto risultato che ci sono voluti tre anni per raggiungere e che non garantisce che non si ripresenti tra poco il nuovo incubo del no deal. Perché il Regno Unito resterà nell'unione doganale e nel mercato interno fino al dicembre del 2020, dopodiché, a meno che non si decida un'estensione del periodo di transizione, ricadrà comunque nelle famigerate, penalizzanti regole dell'Organizzazione mondiale del commercio.

IL PREMIER DECISO
«Abbiamo solo 11 mesi per negoziare il rapporto futuro, Johnson ha detto che non estenderà il periodo di transizione», ha spiegato Barnier ai deputati liberali martedì scorso, aggiungendo che «dovremo provare a fare il possibile per evitare il baratro» e che «entro il 30 giugno dovremmo decidere sull'estensione del periodo di transizione di uno o due anni». I leader Ue l'hanno voluto mettere nelle loro conclusioni del vertice di oggi, togliendo il riferimento al tentativo di negoziare l'accordo «entro la fine della transizione» per non dare un assist troppo grande a Boris e per non privarsi di quegli strumenti di pressione che Londra stessa ha tanto usato in questi anni. Di fatto il «facciamo la Brexit» di Johnson consiste, per il momento, nel superare il primissimo ostacolo entro un mese e mezzo facendo approvare alla sua maggioranza un accordo con cui stabilisce come il Regno Unito onorerà i suoi impegni finanziari con la Ue e come abrogherà la legge sulla comunità dell'Unione europea per trasformare in legge nazionale le direttive europee. Il protocollo sull'Irlanda che sostituisce l'odiata clausola di salvaguardia per evitare il confine fisico tra l'Ulster e la repubblica irlandese trattiene Belfast nelle regole dell'unione doganale con la Ue pur tenendola, di fatto, nell'unione doganale con il Regno Unito. Johnson nega che ci saranno controlli, ma i tecnici hanno dichiarato che sui prodotti alimentari e animali saranno inevitabili. I diritti dei cittadini europei che hanno il diritto di rimanere o che lo avranno al termine di cinque anni di residenza e contributi sono tutelati anche da un'autorità indipendente che si occuperà di dirimere eventuali controversie.
LA PROVOCAZIONE

Ma la retorica di Boris è stata particolarmente infuocata e quando ha detto che «per troppo tempo i cittadini europei potuto trattare il Regno Unito come parte del loro paese» ha suscitato molto clamore e indignazione, soprattutto dopo che il governo ha fatto sapere che per i turisti saranno necessarie registrazioni online sul modello di quelle per gli Stati Uniti e che esisteranno tre tipi di visti: quelli per i grandi talenti, astrofisici e ballerine, quelli per i lavoratori qualificati che servono al servizio sanitario nazionale, ad esempio, e quelli a tempo per i lavoratori non qualificati, che non potranno fermarsi a vivere a lungo nel paese. Per ora è tutto straordinariamente ipotetico e sulla solidità della strategia di Johnson sono state mosse tante critiche. La più sferzante è forse quella di Alexandra Hall Hall, una diplomatica che per mestiere doveva spiegare la Brexit agli americani e che la settimana scorsa è andata a rinfoltire le fila dei tecnici' che se ne sono andati sbattendo la porta dicendo di non voler più «spacciare mezze verità per conto di un governo in cui non ho fiducia».
Cristina Marconi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino