Ginettaccio in scena per raccontare la Shoah

Ginettaccio in scena per raccontare la Shoah
Da 9 anni replicavamo La notte' di Elie Wiesel, per il Giorno della Memoria, ma eravamo un po' stufi di affrontare l'argomento parlando sempre degli orrori di quel genocidio»....

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Da 9 anni replicavamo La notte' di Elie Wiesel, per il Giorno della Memoria, ma eravamo un po' stufi di affrontare l'argomento parlando sempre degli orrori di quel genocidio». Nasce dalla voglia di ricordare, ma con un occhio rivolto al positivo lo spettacolo Ginettaccio con cui Giovanni Betto e Paolo Perin debuttano oggi alle 20.45 all'Auditorium Don Vidotto di Maserada di Piave (info tel 0422 878415). Il protagonista è un Gino Bartali scorbutico, ma capace di un coraggio che lo ha portato ad esser ricordato nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme. Partendo dalla narrazione dell'infanzia e dell'ascesa sportiva del ciclista, si arriva a raccontare la storia (sconosciuta fino alla sua morte) del suo straordinario e silenzioso impegno per salvare la vita di decine di ebrei. Betto, da dove parte questo lavoro? «Nel Giorno della Memoria abbiamo sempre parlato dei campi di concentramento, affrontando il volto terribile dell'Olocausto. E ora volevamo raccontare qualcosa di diverso, concentrandoci su un messaggio positivo». E così avete deciso di correre con Bartali? «Ci siamo imbattuti in questa storia che fa di Bartali un eroe e siamo partiti. Io poi sono un appassionato di ciclismo e d'estate seguo il Giro e il Tour. Non c'ero ovviamente all'epoca, ma nella sfida con Coppi io sarei stato un bartaliano». Perché? «Perché era un tipo sanguino, quasi burbero. Se doveva mandarti a quel paese ti mandava, ma era bello e verace, mentre Coppi sembrava più elegante, sobrio e borghese. Il Ginettaccio lo vedevo già vecchio, negli anni Novanta, quando commentava il Giro ed era ancora genuino». Avete scelto il soprannome (dispregiativo) come titolo... «Quel soprannome era legato al carattere e noi di quello parliamo. Non tanto della sua carriera ciclistica, ma dei fatti resi noti dai figli dopo la sua morte. Quando è stato chiamato dal vescovo di Firenze per supportare una rete clandestina che favoriva la fuga degli ebrei perseguitati, Bartali non ci ha pensato un momento e si è messo a disposizione. Arrotolava i documenti falsi e li infilava nel telaio, poi faceva ogni giorno Firenze-Assisi. In fin dei conti, quando lo fermavano ai posti di blocco, gli chiedevano l'autografo più che perquisirlo. E la musica in scena? «Paolo Perin ha scritto sette canzoni inedite. Non sono delle pause musicali, ma con parole e musica si rafforza la storia».

Giambattista Marchetto
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Il Gazzettino