FOTOGRAFIA MESTRE «Non chiamatemi artista. Sono un fotoreporter» dice

FOTOGRAFIA MESTRE «Non chiamatemi artista. Sono un fotoreporter» dice
FOTOGRAFIAMESTRE «Non chiamatemi artista. Sono un fotoreporter» dice Jean-Piere Laffont davanti a una delle sue fotografie preferite, quella di due senzatetto che bivaccano...

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FOTOGRAFIA
MESTRE «Non chiamatemi artista. Sono un fotoreporter» dice Jean-Piere Laffont davanti a una delle sue fotografie preferite, quella di due senzatetto che bivaccano sotto il World Trade Center appena completato. Nato in Algeria e cresciuto in Marocco, ha studiato fotografia in Svizzera prima di ritrarre le star del cinema a Parigi. E' arrivato a New York nel 1965 e, per più di tre decenni, ha viaggiato attraverso il Paese, cercando di catturarne lo spirito. Turbolent America è una retrospettiva di 118 foto che inaugura oggi (alle 17.30) al Centro Culturale Candiani, allestita nelle sale del terzo piano, curata dalla moglie Eliane. La mostra documenta tutto quello che Laffont vide accadere in America dall'arrivo nella Grande Mela fino alla fine degli anni 80, gli aspetti sociali, politici e culturali. Colpisce, tra le foto più grandi esposte, proprio quella in bianco e nero dei due senzatetto tra i rifiuti ai piedi del World Trade Center, quando era in grande parte vuoto, senza aziende che riempissero i grandi spazi destinati a diventare uffici.

GRANDE MELA

«New York era sull'orlo della bancarotta - racconta Laffont - e io volevo fare giornalismo». L'obiettivo è puntato sui disadattati, gli indigenti. «La macchina fotografica è come una fotocopiatrice - afferma ancora Laffont - Attraverso la composizione e la luce racconto la storia in un'immagine. Cerco di essere neutrale. Tu vedi cosa succede, non quello che penso». Altro simbolo del declino dell'America sono le foto del Bronx, dei bambini che giocano tra le discariche di spazzatura. L'attenzione è poi focalizzata sull'esplosione della rivoluzione sessuale, dal Gay Pride ai movimenti degli Hippy con la bandiera americana appesa a testa in giù come segno di protesta contro la guerra in Vietnam. E poi il l presidente Nixon mentre rassegna le dimissioni, Bob Kennedy due mesi prima dell'uccisione, Mohammed Ali. «Queste immagini costituiscono un ritratto personale e storico di un paese che ho sempre osservato - conclude Laffont - in modo critico, ma con profondo affetto». Fino al 30 maggio.
Filomena Spolaor
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Il Gazzettino