Fondali bassi, i cinesi scappano

Fondali bassi, i cinesi scappano
ECONOMIAMESTRE Venezia ha perso la linea diretta di container con la Cina e il sud-est asiatico. Per chi non è pratico di porti, avere o non avere questo servizio fa la...

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ECONOMIA
MESTRE Venezia ha perso la linea diretta di container con la Cina e il sud-est asiatico. Per chi non è pratico di porti, avere o non avere questo servizio fa la differenza tra un porto di serie A e uno di serie B. E lo scalo lagunare, dal prossimo aprile, precipiterà dalla A alla B. Solo che a differenza delle squadre di calcio, dove la colpa è degli allenatori, dei giocatori o della società, nel caso del porto commerciale di Marghera la colpa è del Governo e delle realtà locali che dal Governo dipendono, mentre se fosse per il Porto Venezia avrebbe potuto conquistare anche altri traffici. Siamo di fronte, insomma, al paradosso di uno scalo che ha tutte le caratteristiche logistiche e operative per essere al top, perché ha grandi spazi dietro le banchine dove stivare le merci e, eventualmente, anche dove lavorarle prima di mandarle agli acquirenti, e offre servizi di alto livello, ma gli mancano i fondali per far passare le navi più grandi in sicurezza senza incagliarsi.

I SOLDI CI SONO
L'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico settentrionale (Adspmas), che comanda Venezia e Chioggia, ha da tempo messo da parte 23 milioni e mezzo di euro per scavare i canali e riportare i fondali alla quota autorizzata di 11,50 metri. Il Governo, però, e in particolare il ministero dell'Ambiente, ancora non ha varato il nuovo Protocollo fanghi che ridefinirà la classificazione dei sedimenti in base al loro maggiore o minore grado di inquinamento, stabilendo quali possono essere riutilizzati per sistemare la laguna nei punti dove i fanghi sono stati portati via dall'erosione, e quali invece devono finire in discarica o a impianti di trattamento. E sempre il ministero dell'Ambiente non ha ancora approvato il Piano morfologico della laguna, conseguente al Protocollo fanghi, che tra l'altro dovrà indicare dove la laguna dev'essere ridisegnata. La Commissione di Salvaguardia veneziana, che dal ministero dell'Ambiente dipende, un anno fa ha approvato un progetto per creare una sponda artificiale alla riva della cassa di colmata B a Fusina, piena di fanghi inquinati tolti anni fa dai canali lagunari e che da mesi stanno scivolando nuovamente in laguna, tornando ad inquinarla; ebbene, l'autorizzazione definitiva, dopo un anno, non è ancora arrivata. Sempre la Commissione di Salvaguardia ci ha messo mesi per approvare l'innalzamento di un metro dell'isola delle Tresse (dove da tempo vengono sistemati i fanghi scavati dai canali portuali) per poterci portare un altro milione di metri cubi di sedimenti, l'ok è arrivato il mese scorso ma con prescrizioni e, visto come sta andando la storia della barriera della cassa di colmata, non si sa quanto ci vorrà per ottenere le autorizzazioni definitive e poter riprendere gli escavi.
Nel frattempo la Capitaneria di porto ha via via ridotto il pescaggio dei canali e l'ultima ordinanza dello scorso ottobre l'ha portato a 10,20 metri.
Impossibile per le navi portacontainer della linea diretta entrare in porto con un pescaggio così limitato. Così, dopo aver resistito e portato pazienza per mesi, alla fine Ocean Alliance ha dovuto cedere e ha annunciato che per il 2020 sopprimerà gli scali diretti a Venezia.
LA SCELTA
L'alleanza armatoriale tra alcune delle maggiori compagnie porta container al mondo (Cma Cgm, Cosco Shipping Lines, Evergreen Line e Orient Overseas Container Line Oocl), conferma invece gli scali agli altri porti italiani di Genova, La Spezia e Trieste. Inutile dire che i triestini faranno i salti di gioia sapendo che Venezia è fuori gioco: Debora Serracchiani, attuale vicepresidente nazionale del Pd, da parlamentare ed europarlamentare, e in particolare da governatrice della Regione Friuli Venezia Giulia, ha operato attivamente per favorire lo scalo giuliano a scapito di quello veneziano; e non è la sola.

Il fatto è che Venezia non riesce più a fare quel che ha sempre fatto, e che per legge deve fare, ossia la manutenzione ordinaria dei canali che conducono al porto, non riesce a farlo perché non glielo consentono e così è diventata come un pugile che combatte con le mani legate dietro la schiena. Non tanto contro Trieste, con la quale invece cerca di costruire rapporti di alleanza assieme agli altri scali dell'alto Adriatico (Fiume e Capodistria, oltre che Ravenna) per offrire al mercato un servizio integrato più efficiente, ma a favore delle aziende del Triveneto che hanno nello scalo lagunare il naturale terminale per le proprie merci da lavorare e per quelle da esportare.
Elisio Trevisan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino