«Favorì il boss»: ricorso da riesaminare

«Favorì il boss»: ricorso da riesaminare
LA SENTENZAVENEZIA Secondo il Riesame di Venezia, fra Vincenzo Centineo e Luciano Donadio c'era «una particolare confidenza», tanto che il siciliano chiamava il campano cumpà,...

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LA SENTENZA
VENEZIA Secondo il Riesame di Venezia, fra Vincenzo Centineo e Luciano Donadio c'era «una particolare confidenza», tanto che il siciliano chiamava il campano cumpà, «termine non consentito a soggetti estranei all'associazione». Ma questo non è sufficiente per disporre l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria a carico del 59enne residente a Salgareda, in quanto il Tribunale «non ha fornito alcuna adeguata e congrua motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, anche in riferimento al requisito di attualità del pericolo di reiterazione». Pertanto la Cassazione ha disposto un nuovo esame del ricorso presentato dall'indagato per favoreggiamento alla camorra di Eraclea.

LA VICENDA
Come riassume la Suprema Corte, in sostanza Centineo è accusato di aver fornito al casalese «informazioni precise e dettagliate, aventi ad oggetto le dichiarazioni rese da Emanuele Merenda - che aveva iniziato un percorso di collaborazione - in ordine alla gestione, da parte del Donadio, del commercio di stupefacenti». Il pentito in questione è lo stesso che aveva raccontato come Centineo avesse ospitato in una cantina, nella località trevigiana di Campodipietra, niente meno che l'inafferrabile latitante Matteo Messina Denaro. Peraltro questa circostanza era stata categoricamente esclusa dall'avvocato Guido Galletti, sostenendo l'inattendibilità del collaboratore di giustizia.
LE MOTIVAZIONI

Ma al di là di quel particolare, per questa inchiesta la Cassazione richiama il Riesame alla valutazione del tempo trascorso. Le dichiarazioni di Merenda risalgono al 2015 e i contatti tra Centineo e Donadio al 2012-2013, quando il palermitano avrebbe avvisato il casertano di un tentativo di truffa ai danni di un imprenditore della zona, per assicurarsi che la vittima non godesse della protezione del presunto boss. Da allora sono passati anni, perciò il Tribunale di Venezia dovrà adeguatamente motivare l'eventuale necessità di una misura cautelare. (a.pe.)
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Il Gazzettino