Far ridere con Hitler è un'impresa complicata

Far ridere con Hitler è un'impresa complicata
Non è facile strappare qualche risata con i grandi drammi, specie se di tutta l'umanità. Ci riescono solo i grandi registi. Scherzare con Hitler e il nazismo è un'operazione...

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Non è facile strappare qualche risata con i grandi drammi, specie se di tutta l'umanità. Ci riescono solo i grandi registi. Scherzare con Hitler e il nazismo è un'operazione complicata e certo il neozelandese Taika Waititi è molto distante da Chaplin, che si permise con Il dittatore di smontare una figura così tragica con lo sberleffo geniale che gli apparteneva.

Film d'apertura dell'ultimo festival di Torino, Jojo Rabbit invece è soltanto la storia di un ragazzino che durante il nazismo ha Hitler come amico immaginario. Vorrebbe essere un nazista perfetto, si prodiga in tutti i modi per sembrarlo, specie nell'addestramento al quale si sottopone quasi felicemente, ma in fondo è buono e timido (il coniglio del titolo) e così lo prendono in giro. Un giorno scopre casualmente che la madre (Scarlett Johannson) nasconde a casa una ragazzina ebrea. I due giovani entrano inevitabilmente in contatto: per il ragazzino è la scoperta di un mondo completamente ignorato. E in poco tempo la sua coscienza nazi vacilla.
Una commedia che stempera il Male in una ilarità forzata (lo stesso regista veste i panni di Hitler), ma che non riesce ad andare oltre a figurine come il capitano dal buon cuore (il pur bravo Sam Rockwell), per far capire che in fondo forse in mezzo a tanti cattivi, qualcuno che si salva c'è sempre. Narrativamente incerto (anche lo scopo didattico se vogliamo è piuttosto esile), eticamente discutibile, specie oggi con il minaccioso ritorno dell'estrema destra, JoJo rabbit resta un'operazione di dubbia necessità e anche quando il gioco si fa più serio, perché la risata ha comunque il fiato corto, mostra tutti i suoi limiti, con spunti (tragici) che mal si combinano.

Premiato a Toronto e incredibilmente lanciato nella corsa agli Oscar, è un film alquanto ruffiano, che si fa però volentieri dimenticare presto, nonostante qualche buon momento, come la lunga scena dell'irruzione in casa della Gestapo, dove la tensione sale, ma è evidente che si tratta di un ricalco modesto della scena iniziale di Bastardi senza gloria di Tarantino. (adg)
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Il Gazzettino