Non è facile strappare qualche risata con i grandi drammi, specie se di tutta l'umanità. Ci riescono solo i grandi registi. Scherzare con Hitler e il nazismo è un'operazione...
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Film d'apertura dell'ultimo festival di Torino, Jojo Rabbit invece è soltanto la storia di un ragazzino che durante il nazismo ha Hitler come amico immaginario. Vorrebbe essere un nazista perfetto, si prodiga in tutti i modi per sembrarlo, specie nell'addestramento al quale si sottopone quasi felicemente, ma in fondo è buono e timido (il coniglio del titolo) e così lo prendono in giro. Un giorno scopre casualmente che la madre (Scarlett Johannson) nasconde a casa una ragazzina ebrea. I due giovani entrano inevitabilmente in contatto: per il ragazzino è la scoperta di un mondo completamente ignorato. E in poco tempo la sua coscienza nazi vacilla.
Una commedia che stempera il Male in una ilarità forzata (lo stesso regista veste i panni di Hitler), ma che non riesce ad andare oltre a figurine come il capitano dal buon cuore (il pur bravo Sam Rockwell), per far capire che in fondo forse in mezzo a tanti cattivi, qualcuno che si salva c'è sempre. Narrativamente incerto (anche lo scopo didattico se vogliamo è piuttosto esile), eticamente discutibile, specie oggi con il minaccioso ritorno dell'estrema destra, JoJo rabbit resta un'operazione di dubbia necessità e anche quando il gioco si fa più serio, perché la risata ha comunque il fiato corto, mostra tutti i suoi limiti, con spunti (tragici) che mal si combinano.
Premiato a Toronto e incredibilmente lanciato nella corsa agli Oscar, è un film alquanto ruffiano, che si fa però volentieri dimenticare presto, nonostante qualche buon momento, come la lunga scena dell'irruzione in casa della Gestapo, dove la tensione sale, ma è evidente che si tratta di un ricalco modesto della scena iniziale di Bastardi senza gloria di Tarantino. (adg)
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Il Gazzettino