«Era in difficoltà, ho dato a Mora 2,8 milioni»

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La benedizione pasquale, facoltativa e fuori dagli orari scolastici, non incide sulla didattica ed è legittima. Parola del Consiglio di Stato per il quale la guerra ingaggiata da un gruppo di docenti e genitori che hanno a cuore la laicità e l'aconfessionalità della scuola pubblica rischia di profilarsi come una discriminazione in senso inverso, ossia rispetto ad attività facoltative che riguardino al religione rispetto ad altre.

A opporsi alle benedizioni, dispensate due anni fa agli allievi di due istituti bolognesi, in orari extrascolastici e alla presenza di un adulto, era stato un gruppo di docenti e genitori.
Il Tar aveva dato ragione agli oltranzisti della laicità, che avevano impugnato la delibera del consiglio d'istituto, il cui preside è Giovanni Prodi, nipote dell'ex premier.
La decisione riguardava l'apertura dei locali ai parroci, in orario extra-scolastico e alla presenza di un adulto.
Scrivono i giudici: «La benedizione pasquale nelle scuole non può in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale. E ciò non diversamente dalle diverse attività parascolastiche che, oltretutto, possono essere programmate o autorizzate dagli organi di autonomia delle singole scuole anche senza una formale delibera». Stigmatizza il collegio: «Non può logicamente attribuirsi al rito delle benedizioni pasquali, con le limitazioni stabilite nelle prescrizioni annesse ai provvedimenti impugnati, un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività parascolastiche non aventi alcun nesso con la religione, soprattutto ove si tenga conto della volontarietà e della facoltatività della partecipazione nella prima ipotesi».
Continua la sentenza: «C'è da chiedersi come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie e le attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti ad attività parascolastiche diverse da quella di cui trattasi, ad esempio di natura culturale o sportiva, o anche semplicemente ricreativa, mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell'orario scolastico.

Va aggiunto che, per un elementare principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un'attività, una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima». Il Consiglio di Stato cita la Costituzione e ricorda che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di una associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative. Dunque non può esserci un divieto di un trattamento deteriore, sotto ogni aspetto, delle manifestazioni religiose in quanto tali.
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Il Gazzettino