Dopo tanti anni e altrettanti governi di vario orientamento, l'Italia è vicina

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Dopo tanti anni e altrettanti governi di vario orientamento, l'Italia è vicina a spuntare gli eurobond che dovrebbero materializzarsi con il Consiglio europeo di metà mese. La strada è ancora lunga «serviranno ancora molti incontri perché le posizioni sono ancora distanti», come ha ricordato ieri Angela Merkel nel suo discorso di insediamento alla guida dell'Europa per i prossimi sei mesi, ma la strada è tracciata. In Parlamento si tifa Angela Merkel in maniera trasversale, ma nelle prossime settimane l'Italia si gioca molto della sua credibilità. Le risorse messe a disposizione dall'Europa sono infatti senza precedenti, saranno tutte finalizzate alla ricostruzione post-pandemia, ma il ricorso a debito europeo potrebbe diventare una misura strutturale qualora riusciremmo a dimostrare che sappiamo fare un uso virtuoso del denaro messo a disposizione da Bruxelles con il Recovery fund. La sfida è impegnativa, per un Paese come il nostro che ha una burocrazia monstre, spesso inefficiente, e una giustizia che non funziona e ancora in lockdown. Alla Cancelliera, Conte ha promesso di legare ogni richiesta di fondi a precisi progetti di riforma e, una volta definito il Recovery fund, palazzo Chigi intende mettere sul piatto tutti gli interventi da fare con i relativi piani finanziari. Molti dei pregiudizi che gravano sull'Italia, tra cui la sua perenne instabilità politica, stavolta non hanno impedito gli accordi e la predisposizione di una serie di strumenti importanti. Così come non hanno frenato la Bce ad acquistare massicce quote di debito pubblico italiano sul mercato secondario. La Merkel intende sfruttare il semestre di presidenza per rendere più stabile l'eurozona. Lo ha spiegato anche ieri quando ha parlato della necessità di arrivare ad un sistema fiscale comune almeno sulle imprese. Per l'Italia si tratta di una grande opportunità. Eliminare il dumping fiscale permetterebbe al nostro Paese di recuperare diversi miliardi. Non solo, un primo passo in direzione di un fisco europeo permetterebbe di mandare definitivamente in pensione vecchi strumenti. A cominciare dal patto di stabilità che per ora è solo sospeso, ma che appena evocato da due commissari, ha costretto il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri a dire che un suo rientro già dal prossimo anno non sta né in cielo né in terra. Il ministro dell'Economia, davanti ai deputati della Commissione politiche Ue di Montecitorio, ha però anche preso un impegno importante sostenendo che il 15 ottobre verrà presentato in Parlamento il Piano di ricostruzione che permetterà di capire come e quando verranno spesi i miliardi europei, insieme alla legge di bilancio. La data va quindi cerchiata in rosso perché rappresenta la prima certezza che il governo dà all'Europa e anche alla maggioranza. Interrogato ieri alla Camera su quando pensa di decidere sul Mes, il premier Conte ha sostenuto - un po' piccato - che non vuole essere definito «attendista» e che «la linea è chiara». Ovvero Conte si presenterà in Parlamento - non prima di settembre, se non addirittura il 15 ottobre in modo da scavalcare anche le elezioni regionali - con un intero pacchetto di misure e riforme che attingeranno dal Sure, come dalla Bce, dal Recovery come dal Mes. La polemica che si è sviluppata solo in Italia sul Mes, dovuta alla pervicace resistenza di una parte del M5s, disturba non poco il presidente del Consiglio e rischia di indebolirlo in vista della trattativa finale a Bruxelles. Non a caso per Romano Prodi «il rinvio del Mes è il piu grande messaggio di sfiducia che si può dare in questo momento». La crisi in atto spinge l'Europa a rinsaldarsi non solo economicamente, ma anche politicamente. I prossimi due anni, che si sono aperti ieri con il semestre tedesco e che si chiuderanno nel 2022 con quello francese, saranno decisivi. Resta da capire che ruolo intende svolgere l'Italia.

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Il Gazzettino