Domiciliari negati alla banda del tuffo

Domiciliari negati alla banda del tuffo
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PORDENONE - La richiesta di domiciliari? «Inidonei», «personalità negative» e nessun «rispetto per le regole di questo Paese». Con questo motivazioni il giudice Licia Consuelo Marino aveva respinto la richiesta di domiciliari avanzata dai tre albanesi che sfuggire alla cattura si erano gettati nel Livenza rischiando l'annegamento. I fratelli Lorenc e Enis Shafloqi, 40 e 23 anni, condannati rispettivamente a 5 anni e 4 mesi e a tre anni e 10 mesi di reclusione, avevano giocato la carta del Tribunale del Riesame chiedendo attraverso l'avvocato Pasquale Crea la revoca della misura cautelare in carcere. Il ricorso è andato male. La linea della Procura e del Tribunale di Pordenone sono stati infatti condivisi dai giudici triestini. Al momento per i due fratelli albanesi resta valida la misura in carcere, dove si trovano assieme al terzo complice, Elton Alia, 34 anni, condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione.

Il Riesame ha condiviso la sentenza di primo grado: carcere ed espulsione una volta espiata la pena. Il giudice di Pordenone aveva evidenziato che erano venuti in Italia per rubare e che la detenzione era l'unico modo di tutelare la comunità dalle loro scorribande. I tre albanesi che il 15 novembre 2016, a Meduna, si gettarono nel Livenza per sfuggire alla cattura dei Carabinieri del Norm di Pordenone, sono stati condannati per ricettazione, furto in abitazione, porto di strumenti atti ad offendere e false dichiarazioni agli inquirenti su precedenti penali e generalità. Il loro caso aveva fatto molto discutere, in quanto la Procura di Treviso negò l'arresto. Il pm Monica Carraturo, puntando sul furto dell'Audi A6 sw da 50 mila euro, rubata a Pordenone e usata per andare a rubare, ottenne un'ordinanza di custodia cautelare dal gip Alberto Rossi e li fece arrestare a Malpensa, prima che salissero su un volo diretto a Vienna.
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Il Gazzettino