Dal Sudan alla Marca per scappare dalla guerra: gli trovano un linfoma

Dal Sudan alla Marca per scappare dalla guerra: gli trovano un linfoma
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LA STORIA
TREVISO Ha deciso di partire per l'Italia quando la moglie è stata uccisa. Non fosse scappato avrebbe fatto la stessa fine. Ha affidato i suoi due figli ai genitori ed ha superato il Sahara e il Mediterraneo, deciso a trovare lavoro nel più breve tempo possibile per inviare a casa il denaro necessario al sostentamento dei due ragazzi. Ma il destino si è voluto accanire ancora contro Mustafà, 44 sudanese, fino a maggio dello scorso anno ospite della caserma Zanusso di Oderzo. Ricoverato in ospedale per un forte dolore alla schiena che gli impediva di camminare, gli è stato diagnosticato il cancro, un linfoma di Burkitt per la precisione, neoplasia dei Linfociti B.

Per quasi 10 mesi lo sfortunato richiedente asilo si è sottoposto alla chemioterapia. Le terapie hanno funzionato. Ora è fuori pericolo e proprio oggi verrà dimesso dall'ospedale. Non poteva però tornare alla Zanuzzo, dove i rifugiati sono ospitati in tensostrutture. Non lui, che ora dovrà sottoporsi ad ulteriori cure e accertamenti clinici. Anche la Nova Facility, società che gestisce il Cas di Oderzo, ha fatto capire che non vi sarebbero state le condizioni per un suo reinserimento.
Ma dove mandarlo? L'Uls 2, in particolare il direttore dei servizi sociali Pierpaolo Faronato, si è fatta carico del problema, e mercoledì pomeriggio è stato convocato un tavolo tecnico per trovare una soluzione. Mustafà non tornerà alla Zanusso, ma sarà ospitato in una comunità più piccola, a Riese Pio X, gestita dalla cooperativa Una casa per l'uomo.
Il 44enne venne ricoverato lo scorso 29 maggio. La diagnosi non sembrava tanto grave: soffriva di una lombo sciatalgia seguita a una brutta caduta. Lui di rimanere in ospedale non ne voleva nemmeno sentire parlare: voleva a tutti i costi tornare nel centro d'accoglienza, e insisteva perché, oltre ai corsi d'italiano e di formazione, gli venisse concessa al più presto un'opportunità di lavoro.
Nemmeno quando i medici gli hanno spiegato che aveva un tumore, che il suo sangue era malato e che le cure sarebbero state lunghe e che non vi era certezza di battere il cancro, Mustafa si è voluto arrendere. Per dieci mesi si è sottoposto alle terapie senza un familiare o un amico che gli stesse accanto. Ma grazie ai medici e alla sua forza di volontà, ora, nonostante alcune conseguenze neurologiche, ha superato la fase critica della malattia. «Dovrà essere seguito e curato ancora - sottolinea prudente il direttore del Ca' Foncello, Stefano Formentini - ed è per questo che ci siamo adoperati perchè gli fosse garantita una struttura idonea».

Alberto Beltrame
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino