Da Facebook prove contro Ruotolo

Da Facebook prove contro Ruotolo
La conferma arriva da Palo Alto: alcuni dei messaggi velenosi inviati da "anonimo anonimo" a Teresa Costanza tra giugno e luglio 2014 sono partiti da Cordenons. Precisamente da un...

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La conferma arriva da Palo Alto: alcuni dei messaggi velenosi inviati da "anonimo anonimo" a Teresa Costanza tra giugno e luglio 2014 sono partiti da Cordenons. Precisamente da un computer della caserma dei carristi, dove Giosuè Ruotolo prestava servizio con il grado di caporal maggiore e lavorava proprio nel settore informatico. L'IP - l'etichetta numerica che identifica un computer collegato a una rete internet - è quello fisso della "De Carli". Facebook ha confermato i sospetti dei Carabinieri e della Procura di Pordenone alla vigilia del processo cominciato ieri in Corte d'assise a Udine per l'omicidio di Trifone Ragone (28 anni) e Teresa Costanza (30), i fidanzati ammazzati in auto, nel parcheggio del palasport di Pordenone, il 17 marzo 2015. «La posizione di Ruotolo si aggrava ulteriormente sulla base di dati oggettivi - afferma l'avvocato di parte civile Nicodemo Gentile - Se non è stato lui a mandare quei messaggi, lo ha fatto qualcuno della caserma. È un indizio pesantissimo, un macigno».

È un indizio. E che di un processo indiziario si tratta ci pensa la difesa a ricordarlo. Nessuno ha visto Ruotolo sparare ai fidanzati, nessuno lo ha visto quella sera. Certo, c'è la superperizia sulle telecamere che colloca scientificamente l'imputato sulla scena del crimine. Ma per i difensori Roberto Rigoni Stern e Giuseppe Esposito quei calcoli sono soltanto un «algoritmo», nessuno potrà mai dire a quale velocità corresse il runner quando ha sentito gli spari provenire dal parcheggio e ha incrociato l'auto di Ruotolo che andava verso il parco di San Valentino, dove sei mesi dopo è stata ritrovata l'arma del delitto nel laghetto.
Il processo si gioca proprio sulla collocazione di Ruotolo nel parcheggio. È per questo che una cinquantina dei 159 testimoni chiamati dalla difesa sono frequentatori del palasport, persone che sentite a sommarie informazioni dai Carabinieri hanno riferito di non aver visto nessuno oppure hanno dato indicazioni sugli stalli occupati o lo stato dei luoghi. Sull'elenco non sono mancate schermaglie con la pubblica accusa. I pm Pier Umberto Vallerin e Matteo Campagnaro avevano chiesto di sfoltire la lista definendola «sovrabbondante» e definendo alcuni testimoni «irrilevanti». Ma la Corte d'assise presieduta da Angelica Di Silvestre, a latere il giudice togato Paolo Alessio Vernì e sei giudici popolari (quattro donne e due uomini), ha ammesso tutti. Anche i testimoni che serviranno alla difesa per insistere sulle piste alternative che - secondo i legali - necessitano di approfondimenti. Si tratta di un collaboratore di giustizia che aveva indicato la pista del traffico di stupefacenti. E di un nomade che un anno fa disse di essere stato ingaggiato per uccidere Teresa e Trifone. Dopo le dichiarazioni, però, è evaso ed è tuttora latitante.

Le parti civili si erano unite agli avvocati Daniele Fabrizi e Serena Gasperini nella richiesta di autorizzazione alla citazione del ministro della Difesa in qualità di responsabile civile, per non aver vigilato sui militari e quindi evitato che gli attriti tra Ragone e Ruotolo sfociassero - come ricostruito dalla Procura - in un duplice omicidio. Ma la Corte ha tenuto conto sia del fatto che il delitto non è stato commesso in caserma sia della circostanza che i messaggi via Facebook che avrebbero innescato la volontà omicidiaria di Ruotolo sono episodi isolati, pertanto sarebbe «irragionevole» estendere la responsabilità al datore di lavoro. La richiesta è stata respinta. Si torna in aula lunedì. Sfileranno i primi testimoni dell'accusa.
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Il Gazzettino