«Costretta a partorire in ambulanza» Neonato grave, lei denuncia i medici

«Costretta a partorire in ambulanza» Neonato grave, lei denuncia i medici
IL CASOPADOVA Doveva partorire a metà aprile, con un cesareo all'ospedale di Rovigo. Invece suo figlio ha emesso il suo primo flebile vagito in un'ambulanza che correva a sirene...

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IL CASO
PADOVA Doveva partorire a metà aprile, con un cesareo all'ospedale di Rovigo. Invece suo figlio ha emesso il suo primo flebile vagito in un'ambulanza che correva a sirene spiegate in autostrada all'altezza di Monselice, nato podalico a sole 26 settimane il 9 gennaio. La donna ha atteso un'ora abbondante prima del trasferimento all'ospedale di Padova, ma ormai era in travaglio e in sala parto non c'è mai arrivata. E se già un parto prematuro e podalico è pericoloso fatto in sicurezza in ospedale, lo è ancor di più se avviene in un'ambulanza lanciata in autostrada: il bimbo è grave, ricoverato in terapia intensiva neonatale, con entrambe le braccia fratturate, una menomazione funzionale alla mano destra, numerosi ematomi di cui due al collo, quattro al cervello e uno al cervelletto.

Il piccolo, nato solo di un chilo e 200 grammi, lotta per sopravvivere. E la madre è certa: «Il nostro è un caso di negligenza ospedaliera». Così la donna si è rivolta ai carabinieri di Padova, dov'è ricoverato ora il suo bimbo, per presentare denuncia contro i medici rodigini e chiede giustizia: «Potevo partorire in sicurezza in sala parto, invece non è successo. Ho partorito su un mezzo in corsa. Il mio bambino ha riportato dei danni e rischia la vita. Se sono stati fatti errori i responsabili devono pagare. Per questo ho denunciato. Nessuno dovrebbe essere trattato così».
La madre, polesana, ha 46 anni ed era la sua seconda gravidanza: «Il ginecologo mi ha detto subito che era a rischio per via dell'età e che sarebbe stato necessario un cesareo».
IL MALORE
Quando la mattina del 9 gennaio la donna si sente male, quindi, corre in ospedale. «È poco prima di mezzogiorno e mi fanno sedere su una sedia di metallo fredda come l'atteggiamento di chi mi doveva seguire. Dico subito che la mia condizione è a rischio e dopo molte insistenze mi trasferiscono in ginecologia. Mi fanno attendere mezz'ora. Vedo una dottoressa con due infermiere e disperata dai dolori e dalla preoccupazione grido che sto male e che mi devono visitare. Mi hanno deriso e solo dopo avermi visitata e fatto un'ecografia si sono resi conto che era una cosa grave. Con una calma irritante mi hanno fatto una flebo in attesa che un'ambulanza mi portasse a fare il cesareo a Padova. Alle 13.37 mi hanno caricato in ambulanza con un giovane medico».
LA DISPERAZIONE
Alle 13.55 si sono rotte le acque. «Continuavo a dire al dottore che non poteva nascere con parto naturale ma lui ha iniziato a tirare fuori il bambino. Ha anche dovuto spingere la pancia per far uscire la testa. Tutto mentre l'ambulanza andava, con i logici scossoni di un mezzo in corsa».
Erano le 14.10 quando il piccolo è nato: «Mio figlio era violaceo. Il medico gli ha fatto il massaggio cardiaco e gli ha messo la maschera d'ossigeno. Ora è grave e io sono distrutta».

Marina Lucchin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino