Claudio De MinParole grosse, come sempre: la sconfitta, da noi, è sempre una vergogna, un'apocalisse, una catastrofe, un fallimento, che sia la finale di Champions o un playoff...
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Parole grosse, come sempre: la sconfitta, da noi, è sempre una vergogna, un'apocalisse, una catastrofe, un fallimento, che sia la finale di Champions o un playoff mondiale con la Svezia, che sia la Juve o l'Italia. L'idea che l'avversario possa essere più forte, a volte anche più fortunato nel calcio succede - neppure ci sfiora e neanche l'ipotesi nel caso della nazionale che i cicli a volte abbiano anche curve al ribasso, che non è scritto da nessuna parte che i campioni debbano nascere per forza, come pomodori nelle serre in pieno inverno. Dove è la vergogna se dopo il 2006 (e allora ne avevamo in abbondanza) non è sbocciato un solo fuoriclasse, se dobbiamo ancora aggrapparci a giocatori che undici anni fa hanno vinto il Mondiale (Buffon, Barzagli) e che girano il mondo in lungo e largo da una vita (Bonucci e Chiellini) e se, ma guarda un po', sono stati proprio loro i meno peggio, l'altro ieri sera? Degli stranieri? Può essere, ma le altre nazioni non ne hanno? E cosa vogliamo fare, andare contro la storia, il mondo, le regole della libera circolazione? Dire che la colpa degli stranieri è un ottimo slogan populista e popolare, buono per una certa politica ma sostanzialmente una colossale sciocchezza. La Spagna non ne ha di stranieri? E la Germania? E nel 2006, quando abbiamo trionfato a Berlino, non ne avevamo di stranieri? Su, siamo seri. Questo è un declino che parte da lontano, agli ultimi due Mondiali ci siamo andati, sì, ma sono state due brutte figure.
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Il Gazzettino