Citran: «La fatica ripaga»

Citran: «La fatica ripaga»
L'INTERVISTADifficile scordare quella telefonata improvvisa una domenica mattina del '94, con Carlo Mazzacurati che «mi tiene un quarto d'ora alla cornetta prima di dirmi hai...

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L'INTERVISTA
Difficile scordare quella telefonata improvvisa una domenica mattina del '94, con Carlo Mazzacurati che «mi tiene un quarto d'ora alla cornetta prima di dirmi hai vinto la Coppa Volpi, mona!». Roberto Citran sospira divertito ripensando all'amico scomparso 6 anni fa e al premio conquistato alla Mostra del cinema di Venezia nel 1994 per Il Toro: «Per me è stata una rinascita. Venivo da un anno di non lavoro totale. E ho pensato: quando fai tanta fatica vieni premiato. Da lì ho continuato a spingere. Se faccio fatica sono contento». Una filosofia, questa, che ha sempre accompagnato la lunga carriera dell'attore e regista padovano, 65 anni da poco compiuti, anche lui bloccato dal coronavirus in piena tournèe teatrale accanto a Marina Massironi in La verità di Bakersfield, «uno spettacolo che mi piace da morire, speriamo di poter recuperare le date. E' un momento terribile, ma capisco le precauzioni. Oltretutto, hanno detto che dai 65 anni in su meglio stare in casa. E ora che li ho appena compiuti, mi sono sentito offeso (risata). Quando lo Stabile del Veneto vorrà telefonarmi sarò contento. Anche solo per farmi gli auguri... di buona guarigione!»

Non avesse fatto l'attore, cosa si sarebbe inventato?
«Me lo sono chiesto per più di vent'anni. L'attore è un mestiere precario per eccellenza, devi corazzarti e in qualche maniera accettare i momenti di non lavoro, investendo su tutto ciò che concerne il mestiere: leggere, scrivere, prendere lezioni di inglese, andare a vedere gli spettacoli o i film degli altri. Va alimentato».
E quindi? Quando ha deciso di diventare attore?
«Per caso. Studiavo psicologia all'università, ma quando sono entrato in una stanza piena di bimbi psicotici rimasi sconvolto. Non era il mio mestiere, mi sentivo troppo sensibile e fragile. Così ho pensato che forse potevo aiutare gli altri in un altro modo».
Ha iniziato con Vasco Mirandola.
«La prima volta che Vasco mi diede 50 mila lire per uno spettacolo fatto in una scuola, rimasi stupito. Caspita, sto guadagnando soldi facendo il macaco davanti ai bambini, com'è sta storia? Mi sembrava quasi un furto».
Il primo ingaggio?
«Vasco ed io invitati da Costanzo per una decina di puntate a Buona Domenica. Che emozione».
Il primo amore: cinema o teatro?
«Cinema. All'inizio collaboravo con Carlo Mazzacurati ed Enzo Monteleone al CinemaUno di Padova. E poi il primo film di Carlo, autoprodotto».
Mazzacurati, grande sodalizio.
«E grande amicizia. Quando cominci a coltivare un sogno con gli amici e poi arrivano Notte italiana, Il Toro e la Coppa Volpi, improvvisamente vedi la tua carriera che si evolve, vedi ciò che hai costruito. Ma ho sempre cercato di essere ancorato al presente. Altrimenti vieni travolto. Adesso mi è pure arrivata la pensione. E questa cosa mi ha stordito».
Che ricorda di Mazzacurati?
«Carlo mi manca sempre molto, mi mancano le sue battute, i racconti, i consigli, le passeggiate, le discussioni: mi faceva ridere, c'era un rapporto così pieno e confidenziale».
Lei ama lavorare con i registi del suo territorio: Segre, Oleotto, Padovan.
«Trovo che abbiano una grande forza, un gran coraggio e provo ammirazione per loro: raccontano il mondo con una grande proprietà di linguaggio, sono tutti originali. Ci metto anche Segato, Cuppellini, bravissimi: non si sono lasciati trascinare dal bisogno di fare cinema solo per fare cinema».
Nascere in provincia è un handicap?
«Non credo: sto prendendo adesso la residenza a Roma dopo 23 anni che ci abito. Sono nato e cresciuto a Padova, città di mille contraddizioni, dove ho trovato spazi miei. Ho incontrato Carlo, ho scoperto autori meravigliosi da cui ho imparato molto, da Rigoni Stern a Meneghello».
Il teatro quando è arrivato?
«Tardi, il mio primo tour risale al 92-93, poi sono arrivati i monologhi, ma la vita del teatrante con tournée, prove e compagnia è iniziata 12 anni fa. E mi piace molto. Mi ha rimesso in moto altre cose: disciplina, rapporto con gli altri, lo studio e la possibilità di scoprire, replica dopo replica l'evoluzione del personaggio».
Quali ruoli ama di più?

«All'inizio ho perso tanti ruoli perché ero troppo legato al buono. Poi ho fatto il cattivo e improvvisamente mi cercano solo per questo. Si ragiona per clichè. La cosa più bella per me è mettere umanità in un personaggio, in tutto quello che fai senza che questo risulti falso».
Chiara Pavan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino