Cgia: il primo cliente è la PA ma paga sempre in ritardo

Cgia: il primo cliente è la PA ma paga sempre in ritardo
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LA RICERCA
MESTRE «Sebbene la puntualità dei pagamenti rimanga ancora una questione irrisolta, con i suoi 140 miliardi di euro di commesse all'anno, pari a circa l'8% del Pil nazionale, la nostra Pubblica Amministrazione è la principale cliente di una parte importante delle imprese italiane, circa un milione». Lo rileva la Cgia la quale ricorda che «dopo la sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia dell'Ue nel gennaio scorso corriamo il pericolo di pagare una maximulta da 2 miliardi di euro».

Il dubbio è emerso dalle dichiarazioni rilasciate da alcuni esperti che hanno sostenuto che i sistematici ritardi nei pagamenti compiuti dalla nostra PA potrebbero far scattare una sanzione europea come quella ricevuta per le quote latte che, fino ad ora, ci è costata circa 2 mld. Tutto questo, comunque, potrà essere evitato se lo Stato italiano metterà fine a questa cattiva abitudine. Ipotesi, vista la crisi di liquidità post-COVID, che sta colpendo anche lo Stato e le sue articolazioni periferiche, pare essere difficilmente perseguibile, almeno per l'anno in corso. «Sebbene i dati Eurostat dicano che i debiti commerciali di sola parte corrente siano negli ultimi 4 anni in costante aumento, sfiorando nel 2019 i 50 miliardi di euro - spiega il coordinatore Paolo Zabeo - i ritardi nei pagamenti della nostra PA continuano ad essere un malcostume molto diffuso in Italia. E alla luce del fatto che quasi la metà di questi mancati pagamenti sono riconducibili alla sanità, perché non ricorrere alla nuova versione del MES 2, anche per liquidare i fornitori delle aziende ospedaliere?». Per la Cgia la cosa più inammissibile di tutta questa vicenda è che nessuno è in grado di affermare a quanto assomma esattamente il debito.

«La Pa - rileva il presidente Renato Mason - non solo paga con ritardi spesso ingiustificabili, ma quando lo fa non versa più l'Iva al proprio fornitore. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, scontano anche il mancato incasso dell'imposta che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti correnti. Altresì, con l'introduzione dello split payment, i fornitori si trovano a credito di Iva, in quanto l'imposta sul valore aggiunto che pagano quando effettuano gli acquisti di beni e servizi non è più compensata da quella incassata sulle fatture attive. Paradossalmente, con una dimensione di crediti Iva importanti, molte aziende finanziano indirettamente lo Stato». Lo split payment, introdotto nel 2015, ha obbligato le Pa a trattenere l'Iva delle fatture ricevute e a versarla direttamente all'erario per, contrastare l' evasione fiscale, evitando che una volta incassato il corrispettivo dal committente pubblico, l'impresa privata non versi al fisco l'imposta sul valore aggiunto. Il meccanismo ha però provocato molti problemi finanziari a tutti coloro che con l'evasione, invece, nulla hanno a che fare, cioè la quasi totalità delle imprese che lavora per la PA. Per la Cgia la soluzione per risolvere l'eccessivo stock di debito commerciale accumulato dalla PA è quella di consentire la compensazione secca, diretta e universale tra i debiti delle Pa verso le imprese e le passività fiscali e contributive in capo a queste ultime.
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Il Gazzettino