Cecchinel, la riscoperta delle liriche in italiano

Cecchinel, la riscoperta delle liriche in italiano
“Una personalità caratterizzata” oltremisura vide Zanzotto nel conterraneo Luciano Cecchinel, quando ne presentò l'esordio con una raccolta nell'appartato dialetto...

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“Una personalità caratterizzata” oltremisura vide Zanzotto nel conterraneo Luciano Cecchinel, quando ne presentò l'esordio con una raccolta nell'appartato dialetto nativo di Revine-Lago e dell'alta valle del Soligo. Il giudizio autorevole di Zanzotto, su uno stile di tensione espressionista e una lingua isolata che il poeta articolava come “solo con se stesso”, guidò i successivi e ad esso si raccordò, pur con un'attenzione specifica alla “bellezza formale”, anche quello di Segre, che introdusse di Cecchinel nel 2011 un'ulteriore silloge dialettale. Questi elogi all'opera in dialetto sono stati per lui una fortuna ma anche una gabbia costrittiva, al punto che i suoi versi in lingua spesso di rara fattura (come nelle “Voci di Bardiaga” centrate sul ritrovamento in una spelonca dei resti di vittime della Resistenza) sono di norma assegnati a un registro minore. Se con Cecchinel, come disse Segre, “siamo al livello più alto della poesia”, è una limitazione farne un poeta “dimezzato” la cui vera natura appartiene alla parte dialettale.

Se ne ha una prova nel canzoniere bilingue di tema familiare, che ha edito in veste di pregio la Tipoteca italiana delle Grafiche Antiga. La dedica del libro nomina le due figlie, Chiara e Silvia scomparsa precocemente, e la moglie Danila Casagrande che partecipa al volume con sei suoi acquerelli. Condotti dalle parole già iniziali del poeta (“parole residue / come neve trascorsa da nube”) si varca “il cancello della dimora”, lo chiama Ramat nella prefazione, dove si custodiscono legami e motivi essenziali della sua vita. È una “casa”, si dichiara sin dai primi versi, quasi una “Heimat” alla Hölderlin o alla Paul Celan, sospesa su un paesaggio prealpino ora dolce e ora aspro e solcato da “l'onbria de la paura”, sul quale incombono in alto “le foreste delle stelle”.

Vengono in mente le “forêts de symboles” della Natura “tempio” di Baudelaire. Silvia, la figlia perduta, è un affetto e un tormento che dettano liriche di emozionante intensità, di grande poesia italiana superstite, ma in lei “che a sé traeva per sfiniti vuoti / la vorace vertigine del cielo”, non si esaurisce il fine del “silenzioso affiorare” di immagini e ricordi vicini all'inesprimibile. Qui sono piuttosto celebrati l'elegia e il tragico condiviso di quattro vite riunite in una lingua dei sentimenti, che è talvolta un “parlar cròt” (malato), e in un paesaggio “sul limite di un verde incorruttibile”. Nella poesia di Cecchinel c'è infine la speranza di essere con i cari “un'unica morte, in un tenero eterno guardando”.
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Il Gazzettino