Casalesi, via alla battaglia legale

Casalesi, via alla battaglia legale
IL PROCESSOMESTRE E' stato il primo ad arrivare e l'ultimo ad andarsene. In completo blu, si è seduto nella prima fila del settore riservato al pubblico e non si è mai mosso da...

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IL PROCESSO
MESTRE E' stato il primo ad arrivare e l'ultimo ad andarsene. In completo blu, si è seduto nella prima fila del settore riservato al pubblico e non si è mai mosso da lì. Solo, per ore ha ascoltato, prendendo appunti su un quaderno giallo a righe, con la bandiera britannica in copertina. Così l'ex sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, ha partecipato alla prima udienza del processo che lo vede sul banco degli accusati per voto di scambio, ma assieme al capo del clan dei casalesi di Eraclea, Luciano Donadio, il quale gli avrebbe portato in dote quella manciata di voti che è risultata determinante per farlo diventare primo cittadino di Eraclea.

LA DIFESA DELL'EX SINDACO
Il suo avvocato difensore, Emanuele Fragasso, sostiene la sua totale estraneità e si è capito fin dalla prima udienza che non mollerà di un millimetro su questa posizione, mettendo in campo la sua indiscussa abilità. Fragasso punterà a smantellare l'accusa ed è molto probabile che sarà fra i legali che attaccheranno alla giugulare l'impianto accusatorio che si basa sull'applicazione dell'art. 416 bis del Codice penale che prevede condanne pesantissime per chi ha fatto parte di una associazione a delinquere di stampo mafioso. Il punto in discussione, quello che farà veramente la differenza in sentenza, è esattamente questo. Il Tribunale presieduto da Stefano Manduzio infatti dovrà decidere se i casalesi arrestati a febbraio dello scorso anno avevano costituito una associazione mafiosa o se si trattava di una banda di malavitosi e nulla più.
I REATI
I reati vanno dall'usura allo spaccio di droga, dall'estorsione alle minacce, tutti reati gravi che diventano gravissimi se commessi da mafiosi. Del resto a leggere le carte della Procura di Venezia non c'è molto da discutere sulla capacità criminale di questa banda capeggiata da Donadio che comandava su tutto il litorale, da Caorle a Jesolo e che aveva nel mirino imprenditori come Ludovico Pasqual, un piccolo artigiano edile che si era visto costretto a chiedere un prestito ad un paio di casalesi che poi gli avevano applicato interessi del 20 per cento mensili. Pasqual è uno dei tanti finiti nel titacarne della malavita organizzata, ma è l'unico che ha avuto il coraggio di costituirsi parte civile in Tribunale con l'avv. Augusto Palese. Con lui, come parti civili, troviamo la Regione e la Città metropolitana, ma anche la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero degli interni, quello stesso ministero che ha deciso a metà di marzo di non sciogliere per mafia il Comune di Eraclea. Ma sul banco delle parti civili vorrebbero sedersi anche Cgil e Cisl assieme a Libera e l'intera udienza di ieri, dalle 9 del mattino alle 18, se n'è andata proprio nella discussione su questo punto e cioè se sia giusto o no ammettere tante parti civili. Gli avvocati difensori degli imputati ovviamente puntano ad estromettere le parti civili, che chiederanno indennizzi, ma è ormai prassi che invece enti pubblici e associazioni conosciute come Libera o i sindacati siano ammessi.
L'INCHIESTA

In ogni caso quella di ieri è solo la prima udienza di un maxi processo che durerà almeno fino alla fine dell'anno con una cadenza di udienze molto fitta. Il processo si basa su un'inchiesta durata più di dieci anni condotta dal pm Roberto Terzo che in aula è affiancato da Federica Baccaglini. Fra le fila dei difensori - una ottantina i legali presenti ieri in una aula affollatissima - troviamo tanti principi del Foro, segno evidente che gli imputati (ben 45) hanno deciso di mettere in campo i migliori avvocati per tentare di scrollarsi di dosso imputazioni che valgono decine di anni di galera. E già nella prima udienza si è capito che sarà una battaglia all'ultimo comma tra pubblica accusa e avvocati difensori i quali hanno iniziato protestando contro il fatto che nell'aula bunker non erano rispettate le norme minime di sicurezza previste dai decreti sul Coronavirus. E' vero che in aula c'erano più di cento persone, tutte dotate di mascherina, ma in uno spazio che ai tempi dei maxi processi contro la mala del Brenta di Felice Maniero erano almeno il quadruplo.
Maurizo Dianese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino