"Caccia" al compromesso

"Caccia" al compromesso
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Sotto pressione per il Brexit, ma guardando più ai propri portafogli – il 20% di disoccupati, debito privato alle stelle, salari da miseria – e indignati per una rigenerazione politica contro la corruzione che ancora non si vede, gli spagnoli hanno votato di nuovo per un governo del cambio. Senza l'illusione espressa a dicembre, bensì con l'irritazione per lo spareggio ai supplementari, che ha confermato l'eclissi del bipartitismo ma non il declino della sinistra moderata del Psoe. Da oggi i partiti dovranno fare i conti con lo scenario quadripartito e frammentario molto simile a quello espresso a dicembre, con il conservatore Partido Popular che ha retto l'onda d'urto del voto di protesta, rinforzando i suffragi che a dicembre avevano ridotto di un terzo il suo peso. Comincia oggi la difficile fase delle trattative perché uno dei candidati possa aspirare all'investitura, dopo la costituzione delle Camere, il 19 luglio prossimo. Sarà allora che re Felipe aprirà un nuovo giro di consultazioni, per designare un possibile aspirante a ottenere la fiducia a premier. Il mandato democratico vorrebbe che sia il Partido Popular, come forza più votata, addirittura in crescita, a ricevere l'incarico. Ma Mariano Rajoy ha già anticipato che, come già nella precedente fase di blocco, non accetterà l'investitura senza un accordo di “grande maggioranza” – attivo o passivo con l'astensione - con Psoe e Ciudadanos. Che resta una chimera se si conferma il veto frontale di socialisti e del segretario di Ciudadanos Albert Rivera alla sua premiership. Rajoy è di nuovo premier in pectore di un governo minoritario, che non ha speranze di vedere la luce. Per di più, in caso di rinuncia, l'incarico sarebbe ancora affidato da re Felipe a Pedro Sanchez, come leader della seconda forza più votata. Un esecutivo di sinistra, già fiutato dai mercati e deplorato da Bruxelles - per il taglio di 10 miliardi del deficit spagnolo che aspetta dietro l'angolo il nuovo governo - non avrebbe neanche i numeri. E questo potrebbe convincere il Psoe a più miti consigli, facendo cadere il veto su una grande alleanza.

Un'ipotesi allo stato possibile solo in cambio della testa dello stesso Rajoy, che dovrebbe rinunciare per cedere il passo a una personalità politica “super partes”, o comunque accettabile per i socialisti e la destra moderata di Ciudadanos. Tra i popolari circolano da settimane i pronostici sui possibili successori, fra i quali la presidente della comunità di Madrid, Cristina Cifuentes, che già governa da oltre un anno con l'appoggio esterno di Ciudadanos. Il sorpasso mancato da Podemos lascia sulle spalle del Psoe la responsabilità di essere l'ago della bilancia per le possibili alleanze a destra. La somma di socialisti e Unidos Podemos non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei 176 seggi del Parlamento anche se resterà difficile per il Psoe continuare a voltare le spalle a Podemos.

Per questo il leader col codino, che ha un fiuto formidabile per i cambiamenti, ha continuato a tendere la mano al Psoe e riscattato in campagna l'ex premier socialista Rodriguez Zapatero come «il migliore presidente che la Spagna abbia mai avuto». In antitesi a Felipe Gonzalez, esponente della vecchia guardia, che ha ripetuto che il partito socialista non può essere socio di governo di «populismi pseudo di sinistra favorevoli alla rottura» del paese. L'uscita di scena di Rajoy e di Sanchez – dicono fuori dai denti in casa socialista – spianerebbe la strada a un governo di alleanza di emergenza nazionale, garanzia contro lo spettro di potenziali terze elezioni.
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Il Gazzettino