Biennale è Armenity tra applausi e lacrime

Biennale è Armenity tra applausi e lacrime
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La sala applaude. Molti si alzano in piedi. Alcuni piangono. Sorridono e si asciugano gli occhi. Sono lacrime di felicità per un riconoscimento prestigioso, ma è anche il pianto della sofferenza per uno sterminio iniziato giusto cento anni fa e per una diaspora raccontata proprio dagli artisti che la vissero. Quei 18 artisti armeni che adesso vengono premiati con il Leone d'oro. Adelina Cüberyan von Fürstenberg, la curatrice della mostra voluta dalla Repubblica dell'Armenia e allestita nel monastero e nell'isola di San Lazzaro, sale sul palco, abbraccia il presidente della Biennale Paolo Baratta, quindi, raggiante, alza la statuetta. Dietro di lei stanno i cinque giurati - la statunitense Naomi Beckwitt, l'austriaca Sabine Breitwieser, l'italiano Mario Codognato, l'indiano Ranjit Hoskote, il coreano Yongwoo Lee, peraltro tutti alla pari perché non hanno neanche voluto eleggersi un presidente - che su 89 paesi partecipanti alla 56 edizione della Biennale d'arte hanno scelto proprio "Armenity". «Il titolo - aveva spiegato la curatrice Adelina Cüberyan von Fürstenberg - ispirato alla parola francese "arménité", può essere considerato una specificità dei nipoti di coloro che sono sopravvissuti al genocidio armeno, il primo del ventesimo secolo: una generazione che esiste all'interno di un flusso costante, con un moderno e spesso soggettivo senso di essere-nel-mondo». A colpire la giuria è stato proprio il fatto di aver creato un padiglione basato su un popolo in diaspora, quasi a rappresentare «la tenacia della confluenza e degli scambi transculturali». Curiosamente, è la seconda volta consecutiva che il Leone d'oro va a un padiglione che non si trova ai Giardini o all'Arsenale: nel 2013 toccò all'Angola ospitata a Palazzo Cini, stavolta all'Armenia il cui padiglione è su un'isola.

E mentre ai Giardini e all'Arsenale si aprono le porte al pubblico dopo quattro giorni di vernice che hanno richiamato circa 25mila accreditati, nel cuore di Venezia, poco distante dalla basilica di San Marco, va in scena la cerimonia di premiazione di "tutti i futuri del mondo" concentrati in città dal curatore Okwui Enwezor. Per la prima volta la premiazione avviene non sotto il tendone all'Esedra ai Giardini (che così è stato occupato da altre opere d'arte), ma nella scintillante sala delle Colonne di Ca' Giustinian, che è la sede della Biennale. Il ministro dei Beni culturali dà un'altra volta forfait: se venerdì era impegnato a Palazzo Chigi, ieri è dovuto correre in ospedale per far partorire la moglie. Ma il plauso di Dario Franceschini arriva comunque: la Biennale - ha detto in un intervento riportato dalle agenzie di stampa - è una «autentica eccellenza» e quella di aprire l'esposizione «a mondi nuovi, alle crisi sociali e geopolitiche del nostro secolo è stata «una scelta coraggiosa».
La classifica dei premi assegnati vede in testa gli Usa con tre riconoscimenti: è americana Adrien Piper, migliore artista premiata con il Leone d'oro per la mostra allestita alle Corderie; è degli Usa il migliore Padiglione dove è stato presentato l'artista Joan Jonas; ed è americana Susanne Ghez, Leone d'oro speciale per l'attività svolta a favore delle arti. A quota due il continente africano con la menzione speciale a Massinissa Selmani (Algeria) e il Leone d'oro alla carriera assegnato a El Anatsui. Poi la Corea del Sud, con Hueng Soon che ha ricevuto il Leone d'argento come promettente giovane artista. e la Siria, menzione speciale al Collettivo anonimo Abounaddara che racconta la "vera" Siria. L'Europa vede assegnata una menzione al cineasta tedesco Harun Farocki, scomparso lo scorso anno e celebrato all'Arsenale con una retrospettiva di 80 suoi film.

Si può concordare con queste scelte? «Se c'è una storia della Biennale - ha detto il presidente Baratta - c'è una storia della giuria che aggiunge sempre un tocco di emozione». Adesso la visione e i commenti di quella che è la Biennale d'arte più lunga della storia (un atto di "cortesia", è stato spiegato, nei confronti dell'Expo) passa al pubblico.
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Il Gazzettino