Berlino, realtà e sogno nella Siberia di Abel Ferrara

Berlino, realtà e sogno nella Siberia di Abel Ferrara
CINEMAUn film non facile da seguire, ancora meno da spiegare; figurarsi mettersi attorno a un tavolo e chiacchierare con il regista e l'attore principale (e quasi unico). Abel...

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CINEMA
Un film non facile da seguire, ancora meno da spiegare; figurarsi mettersi attorno a un tavolo e chiacchierare con il regista e l'attore principale (e quasi unico). Abel Ferrara è a Berlino, in Concorso, con il suo ultimo lavoro (Siberia) e Willem Defoe è il suo specchio sullo schermo. Già Siberia è solo un titolo evocativo, perché poi la Siberia non c'è, ma ci sono le Alpi altoatesine, gli studios bavaresi, un po' di deserto: ma l'idea è quella del luogo estremo, isolato, dove cercare qualcosa di sé che si è perso, una ricognizione esistenziale, che si affacci nell'immaginario più inquietante e che Ferrara svela man mano facendo ricorso a tanti incontri, che Clint (il personaggio) vive più in sogno, che non nella realtà.

INCUBI DI UOMINI TORMENTATI
Un film che farebbe dell'incanto la sua espressione più rimarchevole, ma che lascia anche un senso di incompiutezza, di lavorazione improvvisata, di frammenti che magari si reggono da soli, ma che insieme formano un'opera quasi casuale che alla fine si disperde nei suoi intenti. «Ma per ritrovare se stessi non è necessario isolarsi, cercare gli spazi immensi e vuoto, ci si può chiedere il senso della vita anche in un appartamento di Brooklyn, come direbbero i miei amici buddisti».
E IL PESCE ALLA FINE PARLÒ
Abel e Willem parlano a lungo; come è stato realizzato il film, ma più parlano e forse meno si capisce, come se i loro pensieri corressero dietro alle scene, confondendo ancora di più i percorsi creativi: «Molto è stato improvvisato, anche se improvvisare è sempre un problema, il film è come un elefante in una stanza», spiega Ferrara. Parlano per frammenti, come nel film. E lo fa anche Willem Dafoe: «Mi sono ritrovato da solo in mezzo alla neve, con attori non professionisti o animali, ma questo è il mio lavoro e ho cercato di dare il meglio. Abel ha un'idea, io cerco di metterla in pratica. Molti film si ricordano per le storie, invece qui la scelta è stata diversa: raccontare per immagini. Non c'è un racconto vero e proprio, sono situazioni che riflettono ansie e paure, non solo perché puoi incontrare gli orsi, ma anche su temi come la sessualità e i rapporti personali, familiari; oppure evocare fatti storici come i campi di concentramento. Abel fa puro cinema. Magari non sempre si capisce il significato, oppure ognuno dà la propria interpretazione. Ma sono esperienze che possiamo tutti condividere».

Adriano De Grandis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Il Gazzettino