Autonomia: i sindaci non rispondono

Autonomia: i sindaci non rispondono
L'ASSEMBLEA BELLUNO Ognuno fa la guerra con i soldati che ha recita un noto adagio. Per sua fortuna, la Provincia ha tutti i cittadini che il 22 ottobre 2017 hanno votato al...

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L'ASSEMBLEA
BELLUNO Ognuno fa la guerra con i soldati che ha recita un noto adagio. Per sua fortuna, la Provincia ha tutti i cittadini che il 22 ottobre 2017 hanno votato al referendum provinciale per l'autonomia: 109mila bellunesi. Perché se dovesse affidarsi ai sindaci, farebbe una magra figura. La stessa che hanno fatto ieri i primi cittadini. Convocati all'assemblea di Palazzo Piloni per fare il punto sull'iter autonomista e sulle prossime strategie. E assenti per la maggior parte. Sulle sedie della Sala Affreschi, erano seduti soprattutto l'Agordino e il Cadore. Grande assente il capoluogo, assieme a buona parte della Valbelluna. In pratica, i sindaci con la strada più comoda. Presenti, al contrario, molti primi cittadini che si sono sobbarcati chilometri e chilometri di macchina: Agordo, Alano, Alleghe, Borca di Cadore, Calalzo, Cencenighe, Chies, Alpago, Danta, Longarone, Lozzo, Pieve di Cadore, Rivamonte, Rocca Pietore, San Gregorio, San Vito, Tambre, Sedico, Zoppè, Feltre, Santo Stefano e un delegato per Alpago (oltre ovviamente ai consiglieri provinciali, ai parlamentari e ai consiglieri regionali bellunesi). E gli altri?

TIRATA D'ORECCHI
«Sapevamo che l'iter post-referendario non sarebbe stato una passeggiata - ha detto Serenella Bogana, sindaco di Alano e vice presidente della Provincia -. Ma in questo momento serve l'apporto di tutti. I sindaci bellunesi devono uscire dalle loro valli ed essere presenti. Se la Provincia non sente fisicamente vicini i 64 sindaci, diventa impossibile mandare avanti la partita dell'autonomia».
LA DISCUSSIONE
Al di là dei presenti e degli assenti, quel che rimane sul tavolo è l'esito del referendum di un anno fa. E la strategia da adottare per il futuro, fatta di richieste concrete. Perché l'autonomia, a volerla vedere come qualcosa di fisico e non di astratto, è fatta di una fiscalità differenziata per l'area bellunese; è costruita con la rinegoziazione delle grandi concessioni idroelettriche; poggia sulla necessità di ripristinare l'elezione diretta del presidente e della giunta, con il superamento della legge Delrio, considerata deleteria da tutta l'assemblea.
LE PROPOSTE
Come agire? Questo il problema, tutt'altro che amletico. C'è chi, come l'onorevole sindaco Luca De Carlo, butta là l'idea di un disegno di legge per la regione dolomitica europea, in modo che Belluno diventi una realtà amministrativa a sé stante («Già altri lo hanno fatto - ha detto De Carlo -. Se volete, lo faccio già domani mattina: deposito un disegno di legge e vediamo cosa succede»). C'è chi, come il senatore Paolo Saviane, annuncia di aver già depositato un progetto di legge per il ripristino dell'elettività. E poi c'è l'idea della Provincia, che ha consegnato al ministro Erika Stefani un documento puntuale su cosa serve al Bellunese e su come fare a raggiungerlo. Soprattutto, la Provincia da mesi chiede e pretende di inserirsi nella trattativa Stato-Regione sull'autonomia del Veneto. Magari con un tecnico e un politico, in grado di sedere al tavolo che conta davvero e far presente che oltre al referendum di Zaia c'è stato anche quello di Palazzo Piloni.
MEGLIO TARDI CHE MAI?

«Direi che siamo in ritardo con questa richiesta - ha detto il consigliere regionale Franco Gidoni -. La pre-intesa Stato-Regione è stata firmata a febbraio ed è stata depositata il 2 ottobre scorso. Su quella si va avanti e diventa difficile inserire Belluno a posteriori. Un aiuto dalla Regione? Sì, ma Belluno deve capire cosa vuole».
Damiano Tormen
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Il Gazzettino