Archeologi scagionati

Archeologi scagionati
Si erano ritrovati a processo per la violazione dell'articolo 176 del decreto Urbani, per il cosiddetto "furto d'arte" e ricettazione. Tra gli imputati anche due Pelmo d'oro:...

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Si erano ritrovati a processo per la violazione dell'articolo 176 del decreto Urbani, per il cosiddetto "furto d'arte" e ricettazione. Tra gli imputati anche due Pelmo d'oro: Carlo Mondini, 68 anni, Aldo Villabruna, 64 anni (entrambi avvocato Sandro De Vecchi), Corrado Chierzi, 69 anni e Paolo Viel, 61 anni (entrambi avvocato Fabrizio Righes). Ieri, dopo 5 anni dall'inchiesta, sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Questa la decisione del giudice Domenico Riposati, le motivazioni tra 90 giorni. Il pm Sandra Rossi aveva chiesta 3 mesi.

Tutto è iniziato dopo la denuncia della Soprintendenza, per la presunta detenzione di materiale archeologico. Nel 2010 tra Sois e Bes gli appassionati trovarono un vaso in un bosco e lo segnalarono subito all'allora sindaco Prade. La vicenda emerse in una conversazione con la Soprintendenza. Quando ci fu il sopralluogo quanto descritto non c'era più. «È stata distrutta una necropoli indiscriminatamente», ha detto ieri in aula Giovanna Gangemi della Soprintendenza Beni Archeologici del Veneto. Nel sopralluogo tra Sois e Bes sono state ritrovate ossa di qua e frammenti di là, ma quella necropoli non c'era più.
È così che scattò l'inchiesta nei confronti dei 4 con il sequestro di tutti i reperti che avevano in casa. I 4 esponenti del mondo culturale si sono ritrovati rinviati a giudizio con accuse paradossali per loro che sono sempre stati i primi a segnalare qualsiasi possibile ritrovamento. «Per legge vanno segnalati entro 24 ore alla Soprintendenza», ha sottolineato in aula la Gangemi.
Il giudice ieri dopo l'assoluzione ha disposto l'immediato dissequestro del materiale sequestrato che tornerà nelle case degli appassionati. Materiale che comunque non proveniva da quella necropoli e non è mai stata questa l'accusa. Per le accuse il materiale trovato nelle case degli appassionati erano solo «beni culturali appartenenti allo Stato», reperti di interesse archeologico. Interesse che è stato escluso nel processo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino