L'impatto emotivo del terremoto è così forte che riesce a cancellare almeno apparentemente e almeno per un giorno, e poi magari per qualche altro tempo, quello che è sembrato...
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Si è voluta prendere insomma una pausa di riflessione quella sfiducia - solo applausi per i due presidenti, Mattarella e Renzi, e per il primo soprattutto - e trasformarsi davanti alle 35 bare allineate in una apertura di credito. Che Renzi capisce subito di non poter sprecare. Perché sa che i terremoti in Italia decidono molto delle sorti di chi governa (e gli errori non vengono perdonati) e aprono spesso nuove fasi. Quella, in questo caso, della pacificazione nazionale o della tregua umanitaria con il centro-destra, ossia l'opposto di quanto accadde subito dopo il sisma irpino del 1980 quando Enrico Berlinguer decise di rompere la linea di unità nazionale con la Dc? È un susseguirsi di finora siete stati bravi e ci affidiamo a voi: così i familiari delle vittime e tutti gli altri cittadini in lutto ripetono, mentre salutano o abbracciano in questo grande locale disseminato di casse in cui l'odore non è buono e il caldo è pazzesco, i numerosi politici presenti. Ecco i presidenti Grasso e Boldrini, il vice-presidente grillino della Camera Di Maio (che cerca di muoversi da premier in pectore e da successore di Renzi e appena Matteo abbraccia qualcuno lui si precipita a fare altrettanto), Sassoli del Pd e Tajani di Forza Italia, Legnini del Csm, senatori dem come Francesco Verducci e via così. Soprattutto, tanti sindaci ma il più acclamato è quello di L'Aquila, Massimo Cialente, che Renzi dopo averlo abbracciato così presenta alla moglie Agnese: «È una persona straordinaria, è bravissimo». La messa. E poi il giro tra le bare di Mattarella, che ogni tanto si commuove a modo suo, quasi impercettibilmente, e di Renzi che quando abbraccia una nonna in carrozzella che ha perduto la nipote lei scoppia in un pianto lunghissimo sulla spalla del presidente.
L'espressione del giorno, che Renzi ripete decine di volte ai parenti delle vittime, ai giovani e agli anziani rimasti senza casa e spesso senza affetti, è insieme. Ovvero: «Dobbiamo superare insieme questo momento dell'emergenza e poi insieme decidere come ricostruire territori e comunità spezzate dal sisma». I presenti lo ascoltano (e lui, di continuo: «Non vi lasceremo soli») e il clima è improntato alla sobrietà e alla condivisione. Girando tra questa folla dolente, Renzi ragiona così: «Non voglio decidere io per voi, non è il governo che può dirvi che cosa dovete fare. Sta a voi la scelta. O restare nei vostri paesi, nella vostra comunità di sempre, dormendo nelle tende in attesa che siano pronte le case di legno e che successivamente si avvii la ricostruzione. Oppure si può andare in abitazioni vere e proprie, magari in grandi condomini dove stare il più possibile tutti insieme, ma distanti dalle vostre zone di origine almeno finché non saranno ricostruiti i borghi distrutti. Dovete scegliere voi e il governo vi starà comunque al fianco».
Niente new town, dunque. Semmai, l'opzione numero uno, quella di restare in loco e seguire direttamente e non da lontano la ricostruzione, ricalca - come spiega il sottosegretario a Palazzo Chigi, Claudio De Vincenti, che è qui a sua volta - il modello non abruzzese ma umbro dopo il sisma che devastò quella regione. L'ex sindaco forzista di Ascoli si avvicina al premier e gli dice confidenzialmente: «Presidente, stavolta si possono evitare le solite polemiche politiche e le precoci disillusioni popolari che scoppiano dopo ogni terremoto. Basta presentare, nel giro di pochi mesi, due o al massimo tre, un vero e proprio piano di recupero dei paesi spianati dalle scosse».
I politici, rispetto alla tragedia in corso, sono visibilmente alla ricerca di un approccio meno invasivo del solito e non tendente troppo ai protagonismi e ai miracolismi cui si è assistito in passato. Sembra proprio che il Palazzo, per non franare a sua volta alla stregua di tanti edifici normali inghiottiti dal sisma, stia provando a puntellarsi tramite il basso profilo.
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Il Gazzettino