Annegò a 12 anni nel lago di Santa Croce la Cassazione ordina un nuovo processo

Annegò a 12 anni nel lago di Santa Croce la Cassazione ordina un nuovo processo
IL CONTENZIOSOBELLUNO A ormai 17 anni dalla tragedia, si riapre il procedimento giudiziario sulla morte del piccolo Emanuele Costa, annegato nel lago di Santa Croce. Con...

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IL CONTENZIOSO
BELLUNO A ormai 17 anni dalla tragedia, si riapre il procedimento giudiziario sulla morte del piccolo Emanuele Costa, annegato nel lago di Santa Croce. Con un'ordinanza depositata giovedì, la Cassazione ha rinviato in Corte d'Appello la causa che vede una famiglia di Puos contrapporsi al Comune di Alpago, alle assicurazioni Generali Italia e alla società Enel Produzione. È stato infatti parzialmente accolto il ricorso della mamma Maria Vittoria e dei nonni Lanfranco Domenico e Ornella Caterina, dopo che in secondo grado erano stati rivalutati al ribasso i risarcimenti: ora dovranno essere riesaminati due aspetti cruciali quali il comportamento del ragazzino in quel fatidico 17 luglio 2003 e la consapevolezza che ebbe della sua fine purtroppo imminente.

LA DISGRAZIA
Accadde tutto in pochi minuti, in quello che per Emanuele, la mamma Maria Vittoria e un amichetto doveva essere un pomeriggio di divertimento sulla spiaggia di Farra, chiamata Paradiso dei bambini. Invece fu un inferno di dolore: mentre i due compagni giovavano in acqua vicino alla riva, il 12enne scivolò sul fondo melmoso, nel punto in cui il torrente Runal sfociava tra avvallamenti e buche. Il suo corpo, rimasto impigliato tra rami e alghe, fu ritrovato dai sommozzatori dei vigili del fuoco dopo diverse ore di ricerche. Su quella disgrazia la Procura di Belluno aprì un'inchiesta per omicidio colposo, ma il fascicolo venne archiviato senza responsabilità penali. A quel punto partì però una causa civile, che infine è stata incardinata a Roma, nel convincimento che a rispondere del danno causato ai congiunti della vittima debba essere l'Enel (per i prelievi d'acqua che avrebbero trasformato il bacino lacustre in sabbie mobili) in solido con il Comune, assicurato all'epoca con Assitalia (per il mancato divieto di balneazione).
LE CONDANNE
Inizialmente il Tribunale aveva valutato insussistente il concorso di colpa sia del bambino che della mamma. Per questo il Comune di Farra d'Alpago e Enel Produzione erano stati condannati a suddividersi l'importo di 417.575 euro in favore della mamma, di 126.054 per il nonno e di 169.034 per la nonna. Inoltre alla compagnia assicurativa era stato imposto di tenere indenne il municipio di quanto pagato in base alla sentenza, nei limiti del massimale di polizza. Ma nel 2017 la Corte d'Appello aveva parzialmente riformato il verdetto, dichiarando che la donna aveva avuto un 20% di responsabilità per non aver vigilato sul figlio, mentre Comune e Enel ne avevano un 40%. In questo modo gli indennizzi erano stati ridotti, rispettivamente, a 309.061, 113.449 e 135.228 euro. Questo pronunciamento era stato tuttavia impugnato in Cassazione dai familiari, assistiti dagli avvocati Alessandra Gracis e Giorgio De Arcangelis.
I DUE MOTIVI

Alla fine la Suprema Corte ha accolto due dei motivi esposti nel ricorso. Il primo aspetto riguarda il concorso di colpa, che gli ermellini chiedono ai giudici di Appello di valutare considerando solo la figura dello sfortunato Emanuele, per accertare se «abbia tenuto o meno un comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza, a prescindere dalla sua età e dal suo stato di incapacità naturale, ed a prescindere altresì dalla condotta del soggetto che ne aveva la sorveglianza», cioè di sua madre. Il secondo elemento attiene invece alla richiesta di risarcimento della sofferenza psichica patita dal bambino, per la «lucida percezione dell'approssimarsi della morte». Secondo la Corte d'Appello, questo danno andava escluso perché quella consapevolezza era durata solo «alcuni minuti». Ma come aveva sentenziato il Tribunale, l'esperienza vissuta dal 12enne fu «terrificante, dal momento in cui aveva cominciato a sprofondare sott'acqua, cercando inutilmente di aggrapparsi al suo amico». Una circostanza che, per la Cassazione, «sul piano logico appare difficilmente compatibile con l'assenza di coscienza dell'approssimarsi del pericolo di annegamento».
A.Pe.
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Il Gazzettino