Alessandro Campi La personalizzazione della politica, tendenza irreversibile del nostro tempo, significa tante cose. Che i...
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La personalizzazione della politica, tendenza irreversibile del nostro tempo, significa tante cose. Che i leader contano più dei partiti. Che le parole dei leader talvolta contano più dei loro comportamenti. E che questi ultimi spesso si spiegano guardando non solo alla ideologia che li sostiene, ammesso che esista ancora, ma anche alla psicologia che li determina.
Quella di Matteo Renzi, il cattivo per eccellenza di queste giornate convulse, è decisamente complessa, dal momento che a formarla spiega chi lo conosce bene concorre una variabile antropologico-territoriale molto specifica, il cosiddetto fiorentinismo, che a sua volta è una cosa difficile da intendere. Si tratterebbe, per semplificare, di un misto di protervia umorale, supponenza municipalistica e spregiudicatezza tardo- o pseudo-machiavelliana, che unito ad un carattere fisiologicamente incline alla frenesia e al protagonismo avrebbe appunto prodotto il matteorenzismo.
In questi giorni, sul conto del fondatore di Italia Viva si è letto di tutto, proprio nel solco di una psico-politica a tratti grossolana. Già lo si accusava, alla luce della sua precedente parabola (da capo del governo e leader del Pd a padre-padrone di un partitino che stenta a decollare nei consensi), di essere, non solo un parlatore senza freni, pieno di sé e accentratore, ma anche un fautore del cambiamento fine a sé stesso, (...)
Continua a pagina 23
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Il Gazzettino