A TREVISO LA DINASTIA DEI ROCCHI

A TREVISO LA DINASTIA DEI ROCCHI
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LA STORIA
TREVISO Calcio e ciclismo. Chi lo dice che non possono andare d'accordo. Nella famiglia Rocchi è accaduto: una storia forse unica nello sport italiano. La scena la offre il calcio Treviso. La storica società biancoceleste non gioca in categorie che le spetterebbero, per una società così gloriosa, nata più di 100 anni fa. E che ha pure assaporato la serie A e tra i suoi mister ha avuto il mitico Nereo Rocco. A ottobre il Treviso cambia guida tecnica e sceglie Renzo Rocchi, di Spinea, allenatore di esperienza. Negli anni Novanta ha già allenato il Treviso. Proprio in quegli anni (1991) gli nasce un figlio, Nicolò, che avvia alla carriera calcistica. Il ragazzino è forte e veloce. Un buon motorino da centro campo ma un viaggio in bicicletta con papà lo fulmina. E diventa corridore. Adesso Nicolò, ottimo dilettante, scende di bicicletta e dove si ritrova? Sulla panchina biancoceleste, nello staff. Potrebbe fare il vice allenatore, ma anche il giocatore, ne ha le doti e l'esperienza, ma il biondino di Spinea, ha in tasca un diploma da fisioterapista. Ed ecco come il ciclismo e il calcio si stringono la mano. «Ho preso per mano il Treviso - dice Rocchi papà - grazie a Claudio Capuzzo. Avevamo già lavorato».

Rocchi come arriva a fare l'allenatore?
«Ho iniziato come allenatore in seconda categoria. Sono stato in C2 e C1 a San Donà. Al Treviso nel 1991 e 1992, vincendo la Coppa Italia. Poi in altre categorie. Ora la nuova avventura al Treviso. Vorremo il terzo posto. Stiamo rifondando la squadra. Vogliamo giocatori di appartenenza che amino giocare a Treviso. Non abbiamo la primavera ma abbiamo gli juniores dai 16 ai 18. E qualche buon elemento c'è».
Nicolò come passa dal calcio al ciclismo?
« Nicolò fino ai 16 anni ha giocato prima al Venezia poi al Padova. A 11 anni un giorno mi chiede di vedere Baggio, il suo idolo: a Trento si giocava una amichevole tra il Venezia e il Brescia. Allora lo sfidai ad andare da Spinea a Trento in bicicletta. A me prestarono una bici da corsa, a Nicolò una mtb. E così Nicolò si innamorò della bici. Partimmo alle 5 e rincasammo a sera tardi. Nicolò pedalò, tra andata e ritorno, 14 ore. Poi la doppia attività: Nicolò si divise, fino ai 16 anni, tra calcio e ciclismo».
Nicolò Rocchi cosa accadde?
«Dopo la gita a Trento, facevo calcio la domenica mattina e ciclismo al pomeriggio, sempre nelle categorie giovanili. Tre allenamenti di calcio alla settimana e altrettanti in bicicletta. E le competizioni alla domenica. A 16 anni ho scelto la bici».
Il consiglio di papà?
«Di fare il corridore. Mi vedeva più portato, veloce in volata e leggero in salita. Ero bravo anche a calcio ma il ciclismo mi regalava molte più emozioni. Al Venezia e al Padova ero considerato un buon centrocampista».
Il papà annuisce.....

«Io ho fatto la mia carriera e Nicolò ha continuato la sua. Ma trovo ingiusto che abbia smesso a 27 anni, perché nel ciclismo funziona così. O passi professionista o in una continentale o a 27 anni ti fanno scendere di sella. Si meritava molto di più. Nel calcio invece non è così. Nicolò è nello staff potrebbe fare il vice allenatore facendo i corsi potrebbe anche tornare a giocare, ha una perfetta forma fisica. Ma preferisco che faccia il lavoro da fisioterapista. Nel suo lavoro sta crescendo bene e sta studiando molto. Un diploma e la sua esperienza sportiva possono regalargli ottime soddisfazioni». A Treviso i Rocchi, padre e figlio sula stessa panca, come gli Ancelotti a Napoli.
Tina Ruggeri
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Il Gazzettino