Aprire ai licenziamenti per «scarso rendimento»: è questa la tentazione che cresce nel governo impegnato a definire il decreto con la nuova disciplina del contratto a tutele...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Nella riforma, potrebbe trovare posto la nozione di allontanamento dal posto di lavoro motivato, appunto, da «scarso rendimento». Una fattispecie, si fa notare, già ampiamente conosciuta nelle aule dei tribunali e che troverebbe puntuale tipizzazione. Si tratta di stabilire con quale formulazione giuridica. L'ipotesi più probabile è inserirla nella casella del «giustificato motivo oggettivo». E cioè nel novero dei licenziamenti economici per i quali non è mai previsto il reintegro. Ma non è escluso che possa essere percorsa la strada della fattispecie disciplinare. Il governo è consapevole della delicatezza del materia. Sia per le ricadute di carattere politico («si tratta di una cosa aberrante» ha ribadito Cesare Damiano del Pd), sia perchè non è affatto semplice scrivere una norma di questa natura. Cosa si intende per scarso rendimento, quando si configura, in quali casi può essere applicato? Domande che al momento si infrangono contro il muro del riserbo governativo. La certezza è che, rispetto agli orientamenti delle scorse settimane, la disciplina dei licenziamenti disciplinari sarà meno rigida: in pratica si tratterà di una modifica, senza stravolgimenti, della legge Fornero. Il reintegro nel posto di lavoro sarà possibile solo nei casi di «non sussistenza del fatto materiale».
Dunque il giudice, una volta accertata la veridicità della contestazione, non potrà che disporre l'allontanamento mentre oggi, se il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi, la magistratura può decidere di salvare la posizione del dipendente. Scompare però la versione più dura caldeggiata dall'area di destra della maggioranza. E cioè mai il reintegro per i licenziamenti disciplinari (fatti salvi i casi discriminatori) a meno che non si sia stati accusati ingiustamente di un reato penale «infamante».
Il governo è impegnato anche sul tema degli indennizzi che si collegano all'introduzione del contratto a tutele crescenti. L'indennizzo minimo per il licenziamento ingiustificato nelle imprese oltre i 15 dipendenti dovrebbe essere tra i 3 e i 6 mesi per arrivare ad un massimo di 24-26. Per le piccole imprese resterebbe quello compreso tra 2 e 5. Su tali questioni le parti sociali restano divise: se la Cisl condivide l'idea di un contratto a tutele crescenti come forma più «competitiva e diffusa», la Uil minaccia «lotte crescenti». Dura Susanna Camusso, numero uno della Cgil, secondo la quale il governo ha in mente un «contratto a monetizzazione crescente».
© riproduzione riservata Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino