A 64 giorni dal voto che deciderà le sorti del referendum costituzionale si

A 64 giorni dal voto che deciderà le sorti del referendum costituzionale si
A 64 giorni dal voto che deciderà le sorti del referendum costituzionale si accende lo scontro dentro il Pd sempre più simile a una polveriera. La minoranza che teme una deriva...

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A 64 giorni dal voto che deciderà le sorti del referendum costituzionale si accende lo scontro dentro il Pd sempre più simile a una polveriera. La minoranza che teme una deriva a destra e mostra ormai un disagio crescente. La maggioranza che punta a invadere il territorio dei moderati ma vorrebbe evitare ulteriori conflitti interni.

Intanto, su La 7, va in onda un inedito faccia a faccia: Zagrebelsky contro Renzi. A contrastare il leader democrat non c'è un altro politico ma l'ex presidente della Corte costituzionale, il capofila dei costituzionalisti per il No. E tanto basta per far dire a qualcuno che il confronto è asimmetrico. Da una parte il professore, il giudice costituzionale che ha minacciato di scendere dalla cattedra se vincerà il Sì. Dall'altra il premier che potrebbe andarsene a casa se dalle urne dovesse arrivare una bocciatura della “sua” riforma. Non è Trump contro Clinton, non ci sono 100 milioni di spettatori ma si entra finalmente nel merito, senza urlacci e sgambetti a parte una battuta sui parrucconi e sui gufi che mette un po' in imbarazzo il premier.
Zagrebelsky ha ribadito la sua difesa del Bicameralismo paritario, «le Camere hanno gli stessi poteri ma non fanno le stesse cose, ognuna controlla l'operato dell'altra». Renzi gli ha contestato l'appello contro «la deriva autoritaria» firmato insieme ad altri 55 professori: «Un fatto gravissimo, neanche fossimo dinanzi ad un rischio-Bokassa», allusione all'imperatore cannibale della Repubblica Centroafricana. «Non siamo dinanzi ad una deriva autoritaria - ha rinforzato il concetto il presidente del Consiglio - ma solo dinanzi ad una riforma che vuole eliminare un certo numero di poltrone».
Fronte del Sì e fronte del No avevano iniziato in sordina. Il 4 dicembre è ancora lontano, sarà una volata lunga. Si raccolgono fondi e soprattutto idee. Ma l'apertura di Renzi al centrodestra ha generato il disagio crescente della minoranza dem. E paradossalmente anche di Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia. Insidiato sul suo territorio twitta: «#Viva Zagrebelsky, viva cdx unito, viva M5s, viva persino Travaglio se tutto questo porta a un bel NO a Renzi».
La minoranza Pd teme il cambio strategia. «Se il Pd si pone come suo nuovo obiettivo strategico la conquista dell'elettorato di destra - fa osservare il senatore Federico Fornaro - siamo oltre il Partito della Nazione e soprattutto siamo destinati ad andare fragorosamente a sbattere. La lezione delle ultime amministrative non è servita a nulla: quando si trascura l'elettorato tradizionale di centro-sinistra privilegiando quello di centro-destra si perde e si finisce anche per tradire le ragioni fondative del Pd».

La tensione insomma sale. Nei prossimi giorni verrà convocata la direzione del partito. I segnali di apertura su una possibile modifica dell'Italicum vengono accolti freddamente. In compenso intorno a Renzi fanno quadrato i fedelissimi e i ministri.
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Il Gazzettino