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PADOVA - «Lavoro da oltre 30 anni in terapia intensiva e avevo visto una sola encefalite da virus West Nile in tutti questi anni, prima d'ora. Oggi abbiamo 10 ricoverati in reparto a Padova». A dirlo è Marina Munari, responsabile di Neurorianimazione dell'Azienda ospedaliera di Padova.
«Nel 2018 c'era stata un'altra ondata intensa in Italia - continua - che però nel nostro territorio non aveva raggiunto questi livelli. Questo tipo di neuroinvasività in effetti non l'avevamo mai visto con questi numeri. All'inizio, quando i pazienti hanno cominciato ad essere 2, 3, poi 4, siamo rimasti sorpresi. Sta un po' prendendo il posto del Covid. Il rapporto, come spiegato dal nostro direttore generale, oggi è 10 ricoverati per West Nile e 2 per Covid in terapia intensiva. Il Veneto e in particolare il Polesine sono una zona a rischio per il West Nile ma, pur essendo un'infezione che c'è da molto tempo, con questa espressività soprattutto a livello neurologico non l'avevamo mai conosciuta.
«Probabilmente questi casi sono sempre l'1-2% - ragiona Munari - Ma quest'anno potrebbero esserci molte più persone che hanno avuto l'infezione e le forme neuroinvasive si vedono di più. Non possiamo saperlo, essendo gli infetti in gran parte asintomatici. Ma credo che questa possa essere una spiegazione. Oppure una mutazione del virus che lo rende più aggressivo per quanto riguarda il sistema nervoso, ma se il virus sia mutato è una risposta che potranno dare i microbiologi. L'ospedale di Padova sta facendo analisi di questo tipo. Stiamo cercando di valutare questi pazienti su più fronti, con indagini da un punto di vista neuroradiologico e bioumorale per cercare di capire al meglio quello che è possibile fare anche da un punto di vista terapeutico, perché non ci sono in queto momento vaccini o altre terapie specifiche che possono mettere al riparo questo tipo di pazienti».
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