Maxiprocesso vongole inquinate, per i 42 imputati chiesti 60 anni di pena

Maxiprocesso vongole inquinate, per i 42 imputati chiesti 60 anni di pena
VENEZIA - I pescatori devono rispondere delle loro azioni e per questo vanno condannati. Il pubblico ministero Giorgio Gava ieri ha definito nel dettaglio le richieste di condanna...

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VENEZIA - I pescatori devono rispondere delle loro azioni e per questo vanno condannati. Il pubblico ministero Giorgio Gava ieri ha definito nel dettaglio le richieste di condanna nei confronti dei 42 pescatori veneziani e polesani accusati, a vario titolo, di aver provocato danni considerevoli alla laguna e di aver messo a rischio la salute pubblica pescando e mettendo in commercio molluschi provenienti da zone proibite e inquinate. Nel processo in aula bunker il pm Gava ha chiesto condanne totali per oltre 60 anni e un'assoluzione. Si tratta di pene che partono da alcuni mesi, il grosso supera l'anno e poi ci sono altre richieste per più anni.


Pene sui quattro anni, ad esempio, sono stati chiesti per Arnaldo Gregolin, Amerigo Mantoan e Mirco Pagan. Nel processo figurano anche 14 aziende di pesca.
 

«Si deve ancora una volta considerare - ha detto il magistrato titolare dell'inchiesta - che il pescato gestito in nero non è giammai suscettibile, a livello normativo, di alcuna lecita commercializzazione, per il vulnus irrimediabile che la carenza di documentazione arreca a quel principio di tracciabilità che sostanzia i perni del settore e per l'assoluta carenza di garanzie che lo stesso offre in ordine alla sua commestibilità». Anche gli ambientalisti, costituitosi parti civili con l'avvocato Elio Zaffalon, hanno sottolineato le responsabilità degli imputati. LE INDAGINI L'operazione, denominata Laguna reset, portò nella primavera del 2014 all'emissione di 40 misure cautelari e ad una ventina di sequestri ai danni di altrettante aziende, alcune delle quali di Chioggia e Pellestrina; altre con sede in numerose località d'Italia: nel Polesine, in provincia di Ferrara, in Campania e in Sicilia. Va ricordato che le società sono chiamate in causa sulla base della legge che consente di contestare loro in sede penale una responsabilità per il comportamento illecito dei propri amministratori: rischiano sanzioni pecuniarie, ma anche la possibile chiusura. I PATTEGGIAMENTI Nel 2015, a conclusione delle indagini preliminari, un'ottantina di imputati e alcune società hanno preferito patteggiare la pena per evitare un processo lungo e costoso. A processo, nel tentativo di dimostrare l'estraneità alle accuse contestate, sono rimasti appunto in 42, in gran parte di Chioggia, Pellestrina, Cavallino-Treporti, ma anche polesani, romani, campani e siciliani.
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Il Gazzettino