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VITTORIO VENETO - Si intitola “La versione di Paolo” e fra qualche mese verrà dato alle stampe. Roberta Bencini, moglie di Paolo Vaj, ha scritto un libro per raccontare la storia del 57enne ucciso la notte tra il 18 e il 19 luglio nella sua abitazione di via Cal dei Romani dalla nuova compagna Patrizia Armellin e dalla giovane amica della coppia Angelica Cormaci. Un modo per restituire voce a chi l’ha persa per sempre e allo stesso tempo cercare di voltare pagina: «Lì c’è tutta la verità» dice Roberta, 59 anni. Il processo a carico delle due assassine è ancora in corso. Nei mesi scorsi la Cassazione, pur confermando la piena responsabilità delle due imputate, ha sollevato dubbi sulla premeditazione. Da qui il rinvio alla Corte d’Assise d’Appello di Venezia per una rideterminazione della condanna. In primo e secondo grado Armellin (ritenuta la mente del delitto) e Cormaci (molto legata a lei da affetto e suddittanza psicologica) erano state condannate rispettivamente a 24 e 16 anni di carcere per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione. «Spero che venga riconfermata anche l’aggravante - afferma Roberta Bencini, 59enne toscana -. I giudici sono stati fin troppo buoni. Secondo me la pena giusta doveva essere l’ergastolo per la Armellin, come aveva chiesto il pm. La Cormaci invece la considero una sua vittima, come Paolo».
«VOGLIO GIUSTIZIA»
La 59enne è parte civile nel processo, assistita dall’avvocato Nicodemo Gentile (che firma la prefazione del libro). «L’ho fatto per ottenere la giustizia che Paolo merita - precisa la donna -.
LA RELAZIONE
Ieri, se le cose fossero andate diversamente, Roberta e Paolo avrebbero festeggiato l’anniversario di matrimonio. Come ha ricordato sui social la 59enne toscana postando il disegno di un loro bacio. Si erano sposati il 3 marzo del 2016 e un anno prima del delitto, le loro strade si erano separate, anche se non legalmente. «Avevo scoperto che lui continuava a sentire la Armellin e a quel punto gli ho chiesto di scegliere: me o lei. Ha scelto di rimettersi con lei e io me ne sono fatta una ragione, anche se lo amavo ancora - confida Roberta -. Siamo stati insieme per otto anni, tra fidanzamento e nozze. Ci eravamo conosciuti sulla piattaforma “Second Life”. Ricordo che Paolo mi aveva chiesto una consulenza su come vendere un prodotto. Quella specie di rapporto di lavoro si è poi trasformato in una bella storia d’amore». In quel mondo virtuale fatto di avatar, Vaj aveva conosciuto anche le sue assassine. «Quando ci siamo lasciati ero molto arrabbiata con Paolo - confessa Bencini -, poi però i nostri rapporti si erano normalizzati. Gli ho sempre voluto bene e forse anche lui pensava con nostalgia alla nostra relazione. L’ultima foto che ha guardato prima di morire era la nostra: uno scatto in cui ci abbracciavamo felici. I carabinieri l’hanno trovata nel cellulare». Le rimane un dubbio: «Mi chiedo se Paolo, di fronte a quella foto abbia avuto il desiderio di chiamarmi. E se questo avrebbe cambiato il corso degli eventi che poi si sono succeduti. Chissà...».
Oggi Roberta vive a Poggibonsi (Siena) insieme alla sua gatta e al suo cane. Lavora come impiegata contabile in un’azienda ed è segretaria della sezione toscana di Penelope, l’associazione che affianca le famiglie e gli amici delle persone scomparse. Nel tempo libero coltiva la passione per la scrittura. Un hobby che ora è diventato uno strumento attraverso cui indagare uno dei capitoli più dolorosi della sua vita. «Quando ho incontrato Paolo pensavo che sarei rimasta single per sempre. Dopo di lui non ho avuti altri compagni. Paolo mi manca e voglio che gli venga resa giustizia» conclude, risoluta. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino