BELLUNO - «Primario e dottoressa sono colpevoli: condannateli». Non ha fatto sconti ieri il pm Katjuscia D'Orlando, che al termine della sua requisitoria ha...
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I VELENI
Ieri in Tribunale a Belluno, di fronte al collegio di giudici presieduto da Antonella Coniglio, era il giorno delle conclusioni del processo che vede alla sbarra i tre imputati, rimasti. La Procura imputa l'omessa denuncia di quanto stava accadendo, al primario, la truffa alla dottoressa Guerriero che avrebbe lavorato alle partite senza comunicarlo all'azienda con cui aveva un rapporto esclusivo e il concorso nell'abuso d'ufficio di Sommavilla, all'infermiere. Tutto era nato in quel «clima ostile», come lo ha definito ieri il pm D'Orlando nella sua requisitoria, che si respirava in pronto soccorso all'epoca. Da una parte Sommavilla, che a dire di alcuni leggeva il giornale, non lavorava, non visitava i pazienti in coda per vedere i suoi atleti. Dall'altra il dottor Alessio Vainella, all'epoca al pronto soccorso di Belluno, il grande accusatore del collega. I due lavoravano insieme anche alla Bellmed, li definivano quasi i fidanzati, fino alla rottura dei rapporti, prima dei veleni. Agli inizi di ottobre 2014 l'infermiera Carla Pislor dice a Vainella che Sommavilla fa attività privata in pronto soccorso. Vainella risponde: «Il primario è nel reparto possiamo chiamarlo». Alla notizia su Sommavilla, Gouigoux non si sarebbe mostrato sorpreso come ha spiegato ieri il pm. «È da mò che lo so - avrebbe detto -, fino a quando nessuno lo becca...». Una frase che lo inchioderebbe: il pm ha chiesto per lui la condanna a 500 euro di multa.
LA TRUFFA
«La dottoressa Guerriero - ha detto ieri il pm - era a rapporto esclusivo con l'azienda sanitaria e doveva essere autorizzata all'attività extra». Nel mirino della Procura l'assistenza data dalla dottoressa alle partite dell'Union Ripa La Fenadora: 15 incontri in 3 anni per un totale di 1500 euro di rimborso spese. «Era un compenso a forfait - ha detto il pm -. Dopo la perquisizione del 21 ottobre il 29 ottobre la dottoressa presenta la richiesta per svolgere attività medica non retribuita e poco dopo arriva anche uno specifico regolamento interno dell'azienda». La Guerriero ieri era presente e ha parlato di fronte al collegio di giudici. «È un'attività - ha detto - che non mi ha prodotto alcun guadagno che ho fatto per motivi di amicizia, dando la disponibilità nel mio tempo libero». Il medico ha spiegato i salti mortali che faceva per andare alle partite a 30-40 chilometri di distanza da casa, mangiando un boccone in auto e affidando la figlia a una baby-sitter o ai suoceri. Tutto perché «faceva parte del mio lavoro: io sono un medico». «Se la squadra si presentava in campo senza medico, perdeva a tavolino», ha spiegato. La dottoressa si sarebbe sentita di fare qualcosa anche dopo il caso della morte in campo di Piermario Morosini, che c'era stata in quel periodo. Insomma, era quasi una missione, non certo un lavoro retribuito.
SENZA PROVE
Il pm D'Orlando ha sottolineato che a fronte della gravità della situazione contestata a De Carli, non sono emerse in aula prove che l'infermiere indirizzasse i pazienti al pronto soccorso. Per questo ha chiesto l'assoluzione. La sentenza si conoscerà dopo l'estate: il 19 settembre.
Olivia Bonetti Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino