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PADOVA - «I ritardi sono innegabili e sono il risultato di un carico di lavoro indubbiamente notevole e di qualche inadeguatezza a livello gestionale. La situazione non è difendibile». Sono le parole di Antonino Cappelleri, procuratore capo di Padova, sulla vicenda che ha visto l'Italia condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo a risarcire con 10 mila euro la 46enne Silvia De Giorgi perché non adeguatamente protetta dai magistrati padovani rispetto alle violenze dell'ex marito.
Le denunce di maltrattamenti
Un commento conciso ma lapidario quello di Cappelleri, che si trova alla guida della Procura di Padova dalla fine del 2019. I fatti contestati risalgono a prima del suo insediamento, ma il procuratore non ha voluto lasciar cadere nel vuoto il pronunciamento all'unanimità dei sette giudici di Strasburgo, fra cui l'italiano Raffaele Sabato. Il ritardo nella gestione delle denunce (una decina) sporte dalla donna fra il 2015 e il 2019 c'è stato, secondo il vertice della Procura euganea.
La condanna della Corte europea
Prima del pronunciamento del Tribunale monocratico è però arrivato quello della Cedu (Corte europea dei diritti dell'uomo). A Strasburgo sono finiti sul banco degli imputati i due pubblici ministeri titolari delle inchieste: Vartan Giacomelli da fine 2016 diventato giudice al Tribunale di Ferrara e Cristina Gava, che aveva ereditato i fascicoli e anche lei oggi non più operante a Padova. La sentenza europea è granitica: «La Corte ritiene che l'autorità giudiziaria abbia avuto tutti gli elementi per valutare i fatti e il rischio di reiterazione e per prendere le misure adeguate per la protezione della donna e dei tre figli». In altre parole i due pubblici ministeri non hanno adeguatamente valutato i rischi a cui la 46enne era esposta a causa delle violenze dell'ex marito e non hanno adottato misure per proteggere lei e i bambini. Il tutto a fronte delle molteplici denunce presentate dalla donna, all'epoca residente nel Padovano e di origine leccese, difesa dall'avvocato Marcello Stellin del foro di Treviso. Di quelle denunce, sette sono state archiviate su richiesta dei due pm e un'ottava è quella che ha portato al processo per lesioni tutt'ora in corso. Un iter ancora non concluso dopo sei anni, anch'esso oggetto di una dura critica della Cedu, che ha contribuito a portare lo Stato italiano alla condanna e che lo stesso Cappelleri ha ieri riconosciuto.
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