Costretta a vedere film porno, violentata e resa schiava dal marito-cugino

Costretta a vedere film porno, violentata e resa schiava dal marito-cugino
CASTELMASSA - L’avrebbe obbligata a indossare il burqua, a non uscire da sola e a guardare solo canali televisivi arabi. L’avrebbe picchiata, minacciata e...

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CASTELMASSA - L’avrebbe obbligata a indossare il burqua, a non uscire da sola e a guardare solo canali televisivi arabi. L’avrebbe picchiata, minacciata e costretta a fare sesso contro la sua volontà, a vedere filmati pornografici per replicarli nella realtà e, soprattutto, a praticare sesso anale, nonostante lei si rifiutasse perché lo considerava vietato dalla religione islamica. Questa l’accusa che una giovane donna marocchina ha rivolto contro il marito, che è anche suo cugino perché figlio di una sua zia, che si trova ora a processo per le ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale.   Il loro matrimonio, come ha spiegato la donna quando si è presentata dai carabinieri per denunciare il marito, era stato combinato, quando lei aveva appena 15 anni e ancora viveva in Marocco. Solo una volta maggiorenne, nel 2012, aveva poi raggiunto il marito, anche lui marocchino e già stabilitosi in Polesine. Il ricongiungimento, visto inizialmente come il sogno di una vita migliore in Italia, nel giro di pochi mesi si sarebbe però trasformato in un inferno. Voleva tornare in Marocco ma le figlie avevano il passaporto con il padre. Nel capo d’imputazione sono confluite le accuse che la donna ha rivolto al marito, che l’avrebbe mantenuta «in uno stato di sottomissione affermando che la donna deve sottomettersi all’uomo e fare quello che l’uomo vuole, sottoponendola a violenza sessuale con frequenza giornaliera, anche due o tre volte al giorno, anche nel corso della seconda gravidanza, costringendola a non allontanarsi da sola da casa, impedendole di apprendere la lingua italiana, installandole in casa una parabola che prendeva solo canali arabi».

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L’avrebbe poi picchiata e immobilizzata per costringerla a rapporti sessuali anali, «contro la sua volontà, consapevole del suo implicito rifiuto». Ci sarebbero state anche minacce, anche brandendo un coltello, botte per il sospetto che avesse fatto entrare in casa qualcuno durante la sua assenza, oltre a un controllo sistematico del cellulare. In almeno tre occasioni, poi, l’avrebbe chiusa a chiave dentro casa per ore. Ieri il processo, che vede l’uomo difeso dall’avvocato Chiara Cavaliere e la donna costituitasi parte civile con l’avvocato Cecilia Tessarin, ha vissuto un momento importante, con la testimonianza della sorella della vittima. Lo scoglio linguistico, con la necessità della traduzione, ha però reso tutto molto frammentario. Ha sì ammesso che la sorella gli aveva raccontato di essere stata picchiata, minacciata e violentata, ma solo dopo che era fuggita di casa, rifugiandosi proprio da lei. E ha anche detto che nelle non frequentissime volte in cui si erano incontrati con le rispettive famiglie, li vedeva sostanzialmente tranquilli.
TESTIMONI

Sul banco dei testimoni si è poi seduto il medico curante di marito e moglie, che ha però detto di aver visitato la donna solo in rare occasioni, sempre alla presenza dell’uomo anche perché lei non parlava italiano, e di non aver notato segni di percosse o altro. È stata poi ascoltata anche un’assistente sociale, che ha detto come l’uomo avesse sempre negato ogni accusa e che non si dava pace, arrivando a sostenere che lei fosse cambiata dopo la seconda gravidanza e che qualcuno le avesse messo in testa qualcosa di cattivo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino