Alma e la violenza, 45 anni fa volle il primo processo a porte aperte. Chiara, ammazzata in casa dallo stupratore

Storie di donne e violenza
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VERONA -  Ci sono due storie truci e tragiche nel Veronese, che nella giornata contro la violenza alle donne vanno ricordate. Storie di due donne che si ribellarono ai violenti in un modo che segnò una svolta. Le ricorda la deputata Alessia Rotta, del Pd, professione giornalista, presidente della Commissione Ambiente della Camera. 

Chiara e Alma e le atroci domande

Sono Chiara Ugolini e Alma: si ribellarono alla violenza maschile e alla società patriarcale. La Valpolicella e la Valdadige hanno organizzato a Fumane una fiaccolata, oggi, per Chiara Ugolini e per tutte le altre vittime delle aggressioni maschili.

«Chiara è morta in modo atroce, tra le mura di casa sua, per mano di un uomo nel tentativo disperato di resistere a uno strupro - spiega Rotta -. E sempre in Veneto, a Verona, nell'autunno di 45 anni fa, si celebrò il primo processo a porte aperte su una violenza sessuale. Alma aveva 16 anni ed era una ragazza semplice e timida: in quei mesi subì due aggressioni, quella degli stupratori e quella inflitta dalle domande offensive di poliziotti e magistrati. "Si è spogliata da sola o è stata forzata a farlo?". "Abbracciava gli imputati durante il coito?". "Quando ha smesso di fare resistenza?". "E perché le gambe erano aperte e piegate?". Incoraggiata dalle donne, la giovane Alma chiese che il processo si svolgesse a porte aperte. Un gesto dal profondo significato politico e simbolico. Allora cadde l'aspettativa del silenzio, il sacrificio della vittima muta per difendere l'onore proprio e della famiglia.  Da quel processo sarebbero scaturiti i centri antiviolenza, la parola pubblica di Alma avrebbe dato forza a molte altre vittime di stupro. E vent'anni dopo anche la legge sarebbe cambiata». Contavano sul silenzio del cosiddetto "disonore", invece Alma sparigliò le carte, ottenne la loro condanna e modificò l'impatto sull'opinione pubblica. 

Una strage che continua

Secondo la parlamentare la violenza maschile contro le donne è un fatto pubblico che richiede una rivoluzione culturale. «Perché nonostante gli sforzi legislativi, la strage non si ferma. Serve credere alle donne, educare al rispetto, sostenere le vittime, spezzare gli stereotipi di una società che le ingabbia in ruoli precostituiti, educare i ragazzi fin da piccoli e costringere gli uomini a partecipare a questa battaglia comune per la difesa della libertà delle donne».

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Il Gazzettino