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VENEZIA - Nessun tributo è dovuto all'erario italiano sui soldi vinti nei casinò dell'Unione Europea. L'ha stabilito la Cassazione, rigettando il ricorso dell'Agenzia delle Entrate contro un manager veneto, che a Nova Gorica si era aggiudicato 735.909,85 euro. Per la Suprema Corte, è infatti discriminatoria la norma che impone la tassazione sulle vincite realizzate nelle case da gioco del Vecchio Continente, dal momento che per quelle conseguite in Italia l'imposta sui redditi non è prevista.
IL CONTENZIOSO
Eppure fra il 2009 e il 2010 la commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, in difformità rispetto a quella provinciale di Gorizia, aveva contestato al dirigente l'omessa dichiarazione di un reddito diverso, attraverso tre avvisi di accertamento relativi agli altrettanti acconti incassati fra il 2004 e il 2006.
GLI OBIETTIVI
Proprio gli ermellini hanno deciso che quella previsione va disattesa: «Una normativa nazionale come quella in esame genera una restrizione discriminatoria della libera prestazione dei servizi nei confronti non soltanto dei prestatori ma anche dei destinatari di tali servizi». Secondo i giudici, una simile norma non può essere peraltro giustificata da obiettivi di ordine pubblico, visto che «come risulta dalla giurisprudenza della stessa Corte, le autorità di uno Stato membro non possono validamente presumere, in maniera generale e senza distinzioni, che gli organismi e gli enti stabiliti in un altro Stato membro si dedichino ad attività criminali». Nemmeno la tutela della sanità pubblica costituisce una motivazione valida, stando alla sentenza, poichél'assoggettamento a imposta delle vincite estere non garantisce «in maniera coerente la realizzazione dell'obiettivo della lotta contro la ludopatia, dato che una simile esenzione può incoraggiare i consumatori a partecipare ai giochi d'azzardo». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino