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Il “Palazzetto” ex Ottoboni, la barchessa e il giardino, sono la storia di Pordenone. Di quella del passato e di quella del presente. Con il decreto firmato dal ministro della Pubblica istruzione, il 18 luglio 1960 si dichiarava di interesse particolarmente importante l’edificio allora contraddistinto al civico 70 di corso Garibaldi. La motivazione era questa: si trattava di un «ricordo storico artistico della famiglia degli Ottoboni (Papa Alessandro VIII) nella zona di Pordenone che col giardino annesso e la barchessa residua, è un esemplare della architettura rustica cosiddetta veneta del XVII secolo». Ora però le cose cambiano, perché il ministero della Cultura, dopo più di 60 anni, ha ridotto l’area tutelata al solo “Palazzetto”.
IL DOCUMENTO
Al principio degli anni Sessanta, la vasta area sulla quale insisteva l’edificio, circa 7mila metri quadri di proprietà dell’Opera diocesana Beato Odorico, al centro di una zona che stava assumendo ormai una decisa identità urbana, con nuovi edifici del calibro del condominio Ariston di Nino Donadon e Mario Marzin, diviene teatro della costruzione del complesso condominiale Ottoboni (progetto Studio Pirona, Treviso, 1963), previa presentazione di un piano per costruire in deroga – giuste le altezze dei nuovi fabbricati – e autorizzazione alla demolizione della barchessa, da tempo ridotta a deposito (ottobre 1963). «In memoria di questo corpo di fabbrica - si legge nella relazione tecnica - e per fronteggiare alcune obiezioni sollevate dalla Commissione edilizia, un breve porticato che ne riecheggiasse la forma – “una serie di tre colonne di ordine toscano con sovrastante trabeazione”– fu realizzata, quale diaframma fra l’antico e il nuovo, all’innesto del complesso condominiale con il palazzetto; né la rampa di accesso ai sotterranei (1967), inserita infine nella zona destinata a verde, venne localizzata in modo da mantenere le alberature esistenti.
LA SVOLTA
Nelle immediate adiacenze del Palazzetto ex Ottoboni sono stati costruiti tre edifici residenziali di tipo condominiale, denominati: Condominio Ottoboni A, Condominio Ottoboni B e Condominio Ottoboni C, oltre alla relativa rampa di accesso allo scantinato. «La realizzazione delle strutture - si legge ancora nel documento ministeriale arrivato in Comune - ha sensibilmente ridotto l’annesso antistante giardino e obliterato la barchessa residua». A quel punto è intervenuto un decreto legislativo del 2004, che in caso di mutamenti sostanziali dello stato di fatto di un luogo consente la modifica del perimetro sottoposto a tutela. Ed è quello che è successo per l’area Ottoboni di Pordenone. L’avvio del procedimento di rinnovo della dichiarazione dell’interesse culturale sussiste quindi unicamente per il bene denominato Palazzetto ex Ottoboni. Tutto il resto del complesso andrà a perdere la tutela.
IL PASSATO
La ricognizione della proprietà effettuata nel 1677 su commissione del cardinale Pietro mostra che il complesso consisteva in un edificio dalla chiara partizione in tre corpi, con un giardino antistante, cinto verso strada, e una lunga barchessa porticata, sorretta da quattordici robuste colonne, sul lato est; sul retro era la roggia dei Mulini, che alimentava anche la peschiera. A un tempo successivo si devono la costruzione della cappella, con il campaniletto, e la creazione del piccolo lago necessario all’officina del Maglio della Simia presenti nella mappa della residenza compresa nella ricognizione dei beni di famiglia compiuta per Alessandro Boncompagni Ludovisi Ottoboni tra il 1760 e il 1763. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino