VENEZIA - A vederlo così, spoglio, la fatica più grande è quella di immaginarlo anni fa, brulicante di persone con un vociare continuo a fare da sottofondo...
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«Sto facendo tutto il possibile per aprire di nuovo, a mio nome, un banchetto sotto la loggia grande della Pescheria.
A sentirle, le voci di chi lavora in Pescheria, si assomigliano tutte. E rispecchiano i dati. Negli ultimi anni da diciotto banchetti si è passati a sei attività. Passeggiare sotto la loggia grande è mettersi in confronto con ciò che è stato (i segni dei banchi disegnati ancora a terra) e ciò che la realtà presenta: tre banchi (fornitissimi) ma calati nel vuoto. Identica la situazione dei vicini banchetti di frutta, scesi da quaranta a dodici nel giro di poco tempo.
«Qui si è lavorato bene con Natale, perché per fortuna la tradizione del cenone con il pesce per i veneziani è ancora forte» raccontano alla pescheria Vio, sotto la loggetta, quella che pare essere destinata a diventare il museo del commercio di Venezia, con annesso ristorante a chilometro zero, sulla scorta di quanto già sta succedendo a Firenze dove il mercato centrale ha ripreso vita grazie al connubio tra vendita al dettaglio e cibo preparato sulla piazza, all'istante.
«Adesso che le feste sono passate si lavora sempre meno. Guardatevi intorno e giudicate voi - continuano da Vio - Il turista qui non c'è. O se c'è passa e guarda, la massimo fa una foto ma non compra il pesce fresco, non avrebbe senso».
I pochi veneziani che ci sono, sono gli stessi che fanno girare l'economia del mercato di Rialto. «Ma qui siamo morti - racconta una delle pescherie storiche - Se c'è un progetto serve qualcosa che sia in grado di riportare qui i veneziani, altrimenti non andiamo da nessuna parte». A sentirli, poi, il dubbio che alcuni banchetti soffrano i pagamenti, in ritardo, dei ristoranti.
«I ristoratori pagano secondo gli accordi presi con il commerciante. A loro non possono essere imputate le difficoltà di un mercato che è si sta trasformando anche in funzione di altre modalità di vendita - precisa Ernesto Pancin, direttore di Aepe, l'associazione degli esercenti di pubblici esercizi - Non aiutano alcune normative regionali che definiscono i quantitativi di vendita per quanto riguarda le forniture all'ingrosso ai ristoranti.
Per quanto riguarda il mercato, è evidente che sia la logistica che la modalità di approvvigionamento, non rendono facile il commercio all'interno del centro storico chiude - È una trasformazione commerciale inarrestabile sulla quale è difficile porre rimedio».
N. Mun. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino