Una calle per Gianpietro Talamini voce delle genti venete

Una calle per Gianpietro Talamini voce delle genti venete
Col suo giornale, il Gazzettino, a cavallo del ’900 ha restituito a Venezia il prestigio di antica capitale. La città, dopo un lungo declino, ritrovò il suo ruolo di...

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Col suo giornale, il Gazzettino, a cavallo del ’900 ha restituito a Venezia il prestigio di antica capitale. La città, dopo un lungo declino, ritrovò il suo ruolo di protagonista grazie alla nascita quasi contemporanea della Biennale d’arte, dell’università e di un grande giornale.




E’ stato testimone e cronista di due secoli: dell’affermarsi del Regno d’Italia, della Grande Guerra, dell’affermazione del fascismo, della violenza della dittatura nei giorni del delitto Matteotti. Ha identificato profondamente il Gazzettino con Venezia da quasi 130 anni.



Eppure a Gianpietro Talamini (1845-1934) fondatore del Gazzettino e direttore per quasi 50 anni, assurdamente Venezia non è riuscita a dedicare nemmeno uno tra mille calli, callette, tra campi e campielli. Nemmeno una delle centinaia di lapidi sparse per la città. Niente per un grande del giornalismo e della storia veneziana. Come niente esiste, per fare un altro esempio, per ricordare Giuseppe Cipriani che ha fondato il celeberrimo Harry’s Bar.



E’ come se Venezia provasse piacere a dimenticare chi ci è arrivato (entrambi venivano dal Cadore) per creare qualcosa che rimanesse, identificandosi per sempre con la città.

Talamini era nato a Vodo di Cadore nel 1845 ed era cresciuto mazziniano mentre l’Italia si univa, ma aspettava ancora il Veneto. L’uomo che inventò il Gazzettino era sceso dalle montagne con 3000 lire in tasca e il sogno di fondare un grande giornale in una città che ne aveva già cinque. Scelse una domenica, il 20 marzo 1887, il prezzo di 2 centesimi mentre gli altri costavano 5, un formato nuovo e più maneggevole. Soprattutto decise di dare solo notizie di cronaca mentre la stampa affondava nella politica. Incominciò a pubblicare l’orario dei treni e dei vaporetti, il bollettino della Borsa e quello dello stato civile, il romanzo d’appendice e soprattutto cronaca nera e processi.

I drammi popolari diventavano avvincenti racconti sociali. Diventò in breve uno dei più autorevoli e venduti quotidiani italiani. Talamini badò soprattutto a difendere la sua creatura, la radicò a Venezia anche con una sede prestigiosa a Ca’ Faccanon. Attento ai conti quasi maniacalmente, allo stesso tempo generoso: ogni giorno aprirà su un tavolo all’ingresso della redazione la sua “ora della carità” dedicata alla beneficenza.



Interventista nella Grande Guerra, ospita nella redazione D’Annunzio e Battisti. Si offre volontario, ma ha 70 anni e lo rimandano a casa. Vanno al fronte i figli, i redattori, i tipografi: pagherà per anni sussidi a vedove e orfani.

Il figlio Giovanni, pittore promettente, muore sul Piave negli ultimi giorni di guerra. Va a cercarne i resti e li trova nel canale della Fossetta: il fante era morto quasi abbracciato a un soldato nemico, li fa seppellire insieme.

“El Vecio”, come lo chiamano, cammina per le calli veneziane, le mani dietro la schiena, la chioma candida sotto la lobbia di feltro nero, la barba bianca.



Dall’iniziale simpatia per il fascismo, passa alla diffidenza e poi all’ostilità per la dittatura. Nei giorni del rapimento e del delitto Matteotti, estate 1924, chiama in causa senza mezzi termini lo stesso Mussolini. E il fascismo risponde con attentati, pestaggi di redattori, devastazioni della tipografia, sospensione delle pubblicazioni per due mesi. A un lettore fascista che lamenta che il giornale “è mal fatto”, risponde: “E a me dispiase de non poderlo far pezo”.

Il fascismo – nella persona del conte veneziano Giuseppe Volpi – si impossesserà del Gazzettino soltanto alla sua morte.



Muore il 20 settembre 1934, chiede di “essere seppellito e lasciato nel campo comune tra il popolo cui appartengo e che tanto amo”. Nel testamento ha scritto: “Raccomando ai figli di fare quanto è possibile affinché il giornale, che per fortuna sono riuscito a sostenere sempre in passato con imparzialità, con sincerità, continui a fornire al pubblico le notizie…”.


Un messaggio coraggioso in tempi di consenso alla dittatura e di censura costante dell’informazione. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino