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VENEZIA - «Meglio il carcere che gli arresti domiciliari a casa di mia cognata e di mio fratello». Un trentottenne di nazionalità tunisina, sposato con una ragazza veneziana, ha fatto di tutto, negli ultimi due giorni, per poter finire in cella, e alla fine ce l’ha fatta. Ieri pomeriggio, dopo le istanze presentate dal suo difensore, l’avvocato Marco Zanchi, è stata messa in esecuzione una condanna già passata in giudicato da qualche mese: due anni e otto mesi di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia. E così l’uomo da ieri sera ha fatto ingresso a Santa Maria Maggiore.
Il singolare caso è scoppiato giovedì mattina, quando il trentottenne è comparso al palazzo di Giustizia di Venezia davanti al gup per discutere una prosecuzione dei contestati maltrattamenti in famiglia, per i quali l’uomo ha patteggiato quattro mesi di carcere, in continuazione con la precedente condanna. Nel corso dell’udienza, l’imputato ha subito chiesto al giudice di poter andare in carcere, non volendo e non potendo più rientrare a Pontremoli, dove si trovava agli arresti domiciliari con fratello e cognata, con i quali i rapporti ormai erano ai minimi termini.
L’avvocato Zanchi ha parlato con il vicedirettore ed è stata contattata anche la procura. Ma, senza alcun titolo per giustificare la detenzione, non è stato possibile aprire per lui le porte del carcere. La polizia ha quindi accompagnato l’uomo alla stazione affinché facesse rientro a Pontremoli ai domiciliari, nell’abitazione che aveva potuto lasciare solo per il tempo strettamente necessario a partecipare all’udienza in Tribunale. Da Santa Lucia l’uomo ha telefonato al fratello, il quale gli ha intimato di non rientrare. A questo punto il tunisino è rimasto a Venezia: per lui è scattato l’arresto per evasione ed è stato portato a Santa Maria Maggiore. Al processo per direttissima, ieri mattina, è stato però assolto dalla giudice Francesca Zancan per mancanza dell’elemento soggettivo (ovvero della volontà di evadere dai domiciliari) e rimesso in libertà. Nel tardo pomeriggio la conclusione della vicenda: la condanna a due anni e otto mesi per maltrattamenti è stata messa in esecuzione e il trentottenne è definitivamente finito in carcere, come desiderava. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino