Alla Biennale va di scena l'architettura del possibile

Paolo Baratta (a dx) e Alejandro Aravena
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VENEZIA - «Ci sono ancora tante battaglie da vincere e frontiere da espandere per migliorare la qualità dell'ambiente edificato e la vita delle persone. Ma nonostante nel mondo i ricercatori di un luogo decente in cui vivere siano sempre di più, aumentano anche gli ostacoli per il conseguimento dell'obiettivo, e qualsiasi tentativo di trascendere gli aspetti commerciali incontra una forte resistenza nell'inerzia della realtà. Ciò non toglie che l'architettura possa e debba andare oltre lo status quo. E senza ignorare la complessità del mondo, guardare alle cose in chiave propositiva». Parola di Alejandro Aravena, curatore della 15. Mostra internazionale di architettura, che si svolgerà tra il 28 maggio e il 27 novembre 2016.






Ieri a Ca’ Giustinian, conclusa l'illustrazione del suo progetto ai rappresentanti di 48 dei Paesi partecipanti, Aravena ha illustrato alla stampa insieme al presidente della Biennale, Paolo Baratta, i temi alla base di "Reporting from the Front": «Vogliamo affrontare la battaglia del miglioramento della qualità di vita con ragionevole ottimismo - ha detto il direttore - A tal fine, mostreremo cosa significa lavorare al limite, in circostanze difficili, affrontando sfide impellenti. E trarre esempio da architetture che, malgrado la scarsità di mezzi, esaltano il possibile, anziché incrementare la protesta per ciò che manca. Inoltre, studieremo gli strumenti di progettazione più idonei per sovvertire la tendenza che oggi porta a privilegiare l'interesse individuale sul bene collettivo. E a tale scopo metteremo a confronto non solo architetti, comunità organizzate e cittadini autorizzati, ma inviteremo leader capaci di orientare il settore da posizioni privilegiate».



Un'attenzione particolare per il sociale, dunque. In una mostra non di rottura per partito preso, bensì «bilanciata, intelligente, intuitiva e onnicomprensiva di storie, pensieri ed esperienze provenienti da contesti diversi», secondo la definizione del suo curatore. «Ciò che più ci interessa - ha aggiunto Aravena - è capire in che modo l'architettura può introdurre una nozione più ampia di guadagno. In altre parole, se la progettazione oggi può essere vista come un valore aggiunto, anziché come un costo aggiuntivo o una scorciatoia verso l'equità. E al tempo stesso, dimostrare che nonostante le difficoltà, margini di manovra ci sono. Perché nel perenne dibattito sulla qualità dell'ambiente edificato, non c'è solo il bisogno ma anche spazio per l'azione».



Concetti ribaditi da Baratta, che nel suo intervento ha ricordato come «il tempo presente vede uno scollamento tra architettura e società civile»: da un lato l'autoreferenzialità e la spettacolarità delle archistar, e dall'altro «una sorta di atteggiamento indifferente, fino alla rinuncia completa a porre domande alla stessa architettura».



Il presidente della Biennale, richiamando la contrarietà della stessa «a ogni paralizzante conformismo», ha sottolineato che «le ultime Biennali di settore hanno affrontato le domande che sorgono da questo stato di cose, allo scopo di far rinascere o mantenere vivo il desiderio di architettura. Senza dimenticare - ha concluso Baratta - che l'architettura è l'arte con cui i desideri, le aspirazioni, le necessità private si incontrano con le aspirazioni e le necessità pubbliche. In quest'ottica, lo spirito che animerà l'edizione 2016 non sarà differente da quello delle precedenti. Tanto più che l'architettura, nell'aiutare a formare lo spazio privato, forma anche quello pubblico, il cui godimento è un beneficio gratuitamente offerto a tutti. Rinunciarvi, equivarrebbe a considerare le necessità dell'abitare solo in termini quantitativi, optando per una civiltà più povera e un uomo dimezzato». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino