Veneto Banca, battaglia sulla cassa per lo stato di insolvenza

Veneto Banca, battaglia sulla cassa per lo stato di insolvenza
TREVISO Dopo le due ore e mezza della prima udienza il procedimento davanti ai giudici fallimentari del Tribunale di Treviso per la dichiarazione dello stato di insolvenza di...

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TREVISO Dopo le due ore e mezza della prima udienza il procedimento davanti ai giudici fallimentari del Tribunale di Treviso per la dichiarazione dello stato di insolvenza di Veneto Banca si è concluso come atteso con un nulla di fatto. Si è trattato infatti solo del primo passaggio, vissuto sulla sfida a colpi di interpretazioni giurisprudenziali fra la Procura e i legali dell'ultimo consiglio di amministrazione della ex popolare, costituitosi a giudizio insieme ai commissari liquidatori.


Tutto viene rimandato per ora al prossimo 19 aprile, quando si tornerà in aula per valutare una ulteriore memoria del cda della banca sostegno della tesi secondo cui, al momento della messa in liquidazione amministrativa coatta, Veneto Banca era in stato di dissesto ma non insolvente. Protagonisti della sfida giocata sul filo del codice civile e delle leggi bancarie andata in scena nell'aula C al primo piano del Tribunale di Treviso sono il legale del cda Lorenzo Stanghellini, i tre commissari liquidatori Alessandro Leproux, Giuliana Scognamiglio e Fabrizio Viola e il sostituto procuratore Massimo De Bortoli, il magistrato che ha presentato l'istanza per la dichiarazione di insolvenza. È lui a prendere la parola per primo e davanti al giudice istruttore Antonello Fabbro illustra le dieci pagine con cui ha chiesto l'insolvenza, un documento la cui parte fondamentale è rappresentata dalle conclusioni a cui è arrivata la consulenza tecnica chiesta dalla Procura di Roma in relazione al procedimento in corso nella capitale per ostacolo alla vigilanza bancaria. Per De Bortoli il punto fondamentale non è tanto il mancato pagamento della cedola decennale agli obbligazionisti subordinati, la cui sospensione è diventata parte integrante del decreto con cui il governo Renzi ha definito la cessione delle attività di Veneto Banca e Popolare di Vicenza a Intesa San Paolo, quanto l'impossibilità dell'istituto di credito montebellunese di continuare a fare la banca.
Per Stanghellini e per i commissari liquidatori c'era invece uno stato di dissesto ma non l'insolvenza. Confortati da una memoria inviata dalla Banca d'Italia, che fa il punto sulla situazione economica di Veneto Banca alla data della liquidazione amministrativa coatta, viene risposto alla Procura che il saldo fra attività e passività corrispondeva in quel momento a 1 miliardo e 660 milioni di euro. Risorse sufficienti, è stato sottolineato, a pagare tutti i crediti se la banca fosse stata messa in liquidazione secondo le procedure ordinarie. 

È la situazione in cui, a giudizio della Procura di Treviso, si sarebbe ritrovata Veneto Banca nel giugno dell'anno scorso, quando la liquidità precipita a soli 600 milioni. Troppo pochi perché l'ex cassaforte della Marca possa proseguire ad esercitare il credito, tanto che, sottolinea il pubblico ministero, viene decisa la liquidazione coatta. E sull'ammontare del patrimonio netto De Bortoli solleva una obiezione sostanziale: tra le voci di attivo infatti compaiono 14 miliardi di crediti, di cui certamente almeno 4 sono deteriorati. I crediti, anche quelli performanti, sarebbe caratterizzati comunque da quella incertezza che di fatto depotenzia la teorica capacità della banca, al momento della liquidazione coatta, di poter disporre di quanto sarebbe servito a far fronte alle proprie obbligazioni. Di certo alla fine c'è solo che il Tribunale non ha ammesso la costituzione degli ex soci, al contrario di quanto avvenuto per l'istanza presentata al tribunale di vicentino per l'insolvenza della Popolare di Vicenza.


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Il Gazzettino