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VEDELAGO - «È tutto il giorno che piango, insieme alle mie due amiche. Noi siamo vivi. Clara, invece, non c’è più. Era seduta di fianco a me, nel sedile posteriore. L’urto è stato terribile. Ho pensato fosse scoppiato qualcosa nell’auto. Sono riuscito a trascinarmi fuori dall’abitacolo senza capire cosa fosse successo. Ferito, dolorante e spaventato, ho guardato verso la macchina: ho visto che accanto a me c’erano anche Nazca e Andrea. Ho strizzato gli occhi cercando Clara e mi sono accorto che aveva la testa ciondoloni fuori dal finestrino. Non si muoveva, mentre io urlavo il suo nome. Mi sono spaventato ma ho sperato. Ho sperato sempre in quelle ore terribili dopo l’incidente. Che mi parlasse, che girasse la testa e mi guardasse, che si lamentasse. Invece, niente. Me lo ricorderò per tutta la vita. Quell’uomo ci ha uccisi. Non solo Clara, ma tutti e quattro» Roberto L. ha il bacino fratturato. Si trova ricoverato in ospedale a Montebelluna, dove è stato portato anche Massimo Conte, che era al volante del Suv. «All’inizio lo avevano messo nella mia stessa stanza. Quando ho capito chi era, ho chiesto a un’infermiera di spostarlo. Non reggevo ad averlo a due passi da me. L’ho fissato nella speranza che ricambiasse il mio sguardo. Invece ha tenuto sempre la testa voltata dall’altra parte» dice Roberto, che a Torino studia al Dams e lavora. «Clara l’avevo conosciuta domenica e domenica notte è morta tra le mie braccia. Ero seduto di fianco a lei. Mi aveva detto che era originaria di Roma, con mamma coreana. Lei piccolina, io grande e grosso. In ventiquattr’ore l’ho conosciuta e l’ho persa. Ma delle altre due, era amica da lungo tempo. Sono disperate. Non facciamo altro che piangere. Questo è il peggiore degli incubi».
IL SOGNO
Roberto ripercorre la giornata di domenica.
LA RABBIA
I ricordi di Roberto sono nitidi fino a una frazione di secondo prima dell’impatto. «Non c’era nebbia e davanti a noi nessuna macchina. Cosa sia successo e perchè quel Suv ci abbia tamponati non lo so. Di sicuro correva come un matto» Roberto è uscito strisciando dall’auto. Il suo cane è arrivato saltellando e gli ha leccato il viso. Poi, sono uscite dall’auto Andrea e Nazca. «I medici del Suem che si davano da fare attorno a me continuavano a parlare di un codice 4, ma io non so cos’è il codice 4. Solo dopo, un pompiere, ha detto che una ragazza era morta e ho capito. Piangevo e urlavo. E piangevo. È stato uno choc molto peggiore del male che sentivo al bacino. Quello sarebbe passato. Ma Clara non sarebbe mai più tornata tra noi». Roberto è lucido. Ma la disperazione gli annebbia i pensieri. «Questo signore che ci ha investiti ci ha rovinato. Non saremo mai più quelli di prima. Ci ha rubato la spensieratezza, la voglia di ridere, di divertirci. Non so quanto ci metteremo per ricostruire i pezzi che ci ha rotto. E poi, tutti noi pensiamo alla famiglia di Clara. Aveva una vita davanti a sè, tanti progetti, tante idee. Era piena di vita e in un attimo di lei non c’è più nulla. Se non i nostri ricordi».
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