PADOVA - Ha sempre negato ogni addebito con un atteggiamento reticente e di completa indifferenza rispetto alle vicende processuali che lo riguardano. É con queste...
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L’IMPIANTO ACCUSATORIO
Vazzoler era alla guida di una banda specializzata nel ripulire il denaro provento di evasione fiscale, e in grado di riciclare la bellezza di 118 milioni di euro tra Svizzera, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia e Dubai, in un arco di tempo compreso tra il 2015 e i primi mesi del 2018. É proprio in quel periodo che gli affari illeciti dell’ex dentista e dei suoi soci hanno avuto un’impennata. Cioè dopo il via libera alla “voluntary disclosure” che consentiva di riportare in Italia i capitali al riparo nelle banche svizzere. Tanti imprenditori e professionisti volevano smobilitare il denaro con prelievi in contanti. Un percorso osteggiato dagli istituti bancari rossocrociati, poco propensi ad autorizzare i transiti di grosse somme di denaro, «in quanto elemento indicativo del rischio di riciclaggio». Secondo il Tribunale Vazzoler offriva alla clientela l’opportunità di ottenere in contanti la consegna delle somme depositate, al netto della provvigione che oscillava tra il 5% e il 10% del capitale. E non è casuale che fossero i soci Albert Damiano e Remo Suardi, esperti finanzieri svizzeri che hanno patteggiato la pena, a procacciare i clienti della banda.
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LA QUESTIONE
Il lunghissimo dibattimento è stato caratterizzato da una questione giuridica su cui Procura e Tribunale hanno sempre manifestato un identico orientamento. É il nodo della competenza territoriale più volte sollevato dalla difesa di Vazzoler, che ha inutilmente provato a far trasferire il processo a Venezia, sostenendo che il faccendiere risiedeva nell’attico del complesso Le Torri Drago di Jesolo. Un’eccezione bollata dal collegio come destituita di fondamento. «Dalle indagini - scrivono i giudici - emerge la stabile presenza di Vazzoler a Padova». Dal suo lussuoso attico di piazza dei Frutti il faccendiere avrebbe promosso e diretto l’organizzazione a delinquere «utilizzando il computer e la posta elettronica con cui comunicava quotidianamente con i complici e predisponeva la documentazione funzionale al confezionamento della veste di liceità delle operazioni compiute». É su quest’aspetto che il collegio di difesa dell’ex dentista proverà a dare battaglia in appello, con l’obiettivo di scongiurare la confisca dei beni in sequestro (il lussuoso attico di Jesolo, l’esclusivo appartamento di piazza dei Frutti, la Maserati Levante, la Jaguar XK 5.0, e l’imbarcazione Venice Thunder), oltre che il profitto del reato, quantificato in 5.835.019,64 euro. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino