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Sentenza definitiva sull'obbligo vaccinale sollecitata dalle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Brescia, Catania e Padova: i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie, devono rispettare l'obbligo vaccinale per la prevenzione dal Covid anziché sottoporsi ai relativi test diagnostici (i tamponi). Tale obbligo - dice la Corte costituzionale - non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili. Lo sottolinea appunto la Consulta nella sentenza n. 15 del 2023 (redattore Stefano Petitti) depositata oggi - 9 febbraio - e pronunciata il primo dicembre dello scorso anno.
In risposta alle questioni di legittimità , la Corte ha affermato che la normativa censurata ha operato un contemperamento non irragionevole del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività, in una situazione in cui era necessario assumere iniziative che consentissero di porre le strutture sanitarie al riparo dal rischio di non poter svolgere la propria insostituibile funzione. Il sacrificio imposto agli operatori sanitari non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all'andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini. La mancata osservanza dell'obbligo vaccinale ha riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio.
La sentenza, infine, ha deciso che quanto previsto dalle norme censurate - secondo cui al lavoratore che avesse scelto di non sottoporsi alla vaccinazione non erano dovuti, nel periodo di sospensione, la retribuzione né altro compenso o emolumento - ha giustificato anche la non erogazione al dipendente sospeso di un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio. La Corte, infatti, ha ritenuto non comparabile la posizione del lavoratore che non ha inteso vaccinarsi con quella del lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, casi questi ultimi in cui l'assegno alimentare può essere erogato. In particolare, la Corte ha escluso che fosse costituzionalmente obbligata la soluzione di porre a carico del datore di lavoro l'erogazione solidaristica di una provvidenza di natura assistenziale in favore del lavoratore che non avesse inteso vaccinarsi e che fosse, perciò, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa.
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