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TREVISO - Si era rivolta a un centro all’estero per cambiare sesso, affrontando la transizione da uomo a donna. Il sogno di potersi finalmente riconoscere nel proprio corpo, però, si è trasformato in un incubo. L’esito fu un disastro. E di seguito la signora, residente nella zona che fa riferimento a Castelfranco, è stata costretta a sottoporsi a 60 interventi chirurgici solamente per cercare di rimediare ai danni subiti a livello fisico, senza tralasciare le difficoltà psicologiche. Una vera e propria odissea.
Il caso è stato rivelato ieri da Francesco Benazzi. Anche alla luce di questo il direttore generale dell’Usl della Marca ha sottolineato l’importanza della decisione di avviare il nuovo Centro di riferimento regionale per i disturbi dell’identità di genere nell’azienda ospedaliera di Padova. Benazzi si è confrontato con la signora all’inizio del suo mandato come direttore generale a Treviso, ormai sette anni fa, quando l’intervento per il cambio di sesso era già stato fatto all’estero. «Non era una nostra paziente – specifica il direttore generale – non è stata trattata nelle nostre strutture».
L’ODISSEA
All’epoca non c’erano troppe alternative: a molte persone transgender non restava che guardare a viaggi della speranza verso altri Paesi. Spesso senza enormi garanzie di sicurezza.
LA DECISIONE
Ora la strada è tracciata. Il 7 marzo la giunta regionale ha approvato il progetto all’unanimità. Il nuovo centro sarà realizzato nella struttura che già ospita l’unità di Medicina della riproduzione in via Modena a Padova. Lunedì nell’ospedale universitario patavino si è svolto l’ultimo tavolo tecnico del Gruppo interdisciplinare incongruenze di genere (Giig), la squadra di specialisti che rappresenta l’ossatura del futuro centro. Anche il professor Andrea Garolla, coordinatore del gruppo di lavoro che conta una trentina di specialisti, conferma la continua crescita di assistenza da parte di transgender: nel giro di un paio d’anni le persone seguite dal team padovano sono passate da 38 a 200. Ad oggi sono proprio duecento le persone seguite dall’equipe padovana a fronte di un’identità di genere che non corrisponde al sesso assegnato loro alla nascita. «Dal 2021 il carico di lavoro è cambiato perché abbiamo ricevuto l’autorizzazione alla prescrizione di terapie ormonali sostitutive, così coloro che scelgono di assumere questi farmaci non li pagano – ha spiegato Garolla – siamo passati da 38 a 200 pazienti in poco tempo. Le persone arrivano da tutta l’Italia. Il più giovane ha 16 anni, ma non c’è un’età per raggiungere un certo grado di consapevolezza. Ad esempio ci ha chiesto aiuto un uomo di 65 anni, precedentemente sposato e con figli, che per il ruolo sociale non aveva affrontato prima il cambio di identità».
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