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SUSEGANA - Un gigante tra i giganti. E’ di Colfosco uno dei grandi protagonisti del Tor des Geants, il mitico evento internazionale di trail running capace di far vibrare le emozioni di chi ama la corsa e la montagna. In 711, provenienti da ogni parte del mondo, sono partiti da Courmayeur per affrontare una gara di 330 km di corsa e 24 mila metri di dislivello lungo le Alte Vie 1 e 2 della Valle d’Aosta, ai piedi dei più importanti “quattromila” delle Alpi. Tra loro c’era anche il suseganese Roberto Zanco che, pur non essendo un campione, si è ritagliato uno spazio di primo piano nel contesto della massacrante gara valdostana.
AL TRAGUARDO
Sabato, quand’è giunto al traguardo, dopo oltre 6 giorni di corsa ininterrotta, da autentico Forrest Gump delle vette, c’era tutta Courmayeur ad applaudirlo. I campioni dell’ultratrail mondiale erano ormai arrivati da giorni, impiegando meno della metà delle 150 ore servite a Zanco per completare la prova.
LA PASSIONE
Cinquantadue anni, sposato con Katia, Roberto Zanco corre per passione da una decina di stagioni. «Ho iniziato con qualche gara nei dintorni. Distanze brevi. Poi, piano piano, ho allungato. Mi alleno sulle colline e nei weekend cerco di andare in montagna: mi piace la solitudine, rimanere con i miei pensieri. Prima del Covid ero arrivato ai 160 km del Trail della Bora, sulla costiera triestina. Niente al confronto del Tor des Geants. Era un sogno che coltivavo da tre anni e finalmente sono riuscito a realizzarlo». Sui sentieri della Valle d’Aosta ha corso da autodidatta. «Mia moglie fa l’insegnante e non ha potuto accompagnarmi. Sono andato a Courmayeur in treno. Il regolamento permette l’assistenza di un compagno, ma io mi sono arrangiato in tutto. Ho corso in totale autosufficienza alimentare. Me la sono cavata benissimo, mentre una buona parte dei ritiri è dovuta a problemi intestinali: si mangia, si prende freddo e ciao». Anche Zanco, sulla strada verso Courmayeur, ha avuto però i suoi bei momenti di crisi. «In sei giorni non ho fatto più di mezz’ora di letto, poi approfittavo di qualche sosta per sonnellini di pochi minuti. L’impossibilità di dormire è stata un problema, così come l’altitudine per chi, come me, non è un atleta di montagna. Nell’ultima delle sei notti di gara mi sono venute le allucinazioni: vedevo cose che non esistevano». La paura è spesso compagna fedele degli ultratrailers. «C’è la consapevolezza che basta un piede in fallo per precipitare in un burrone o rompersi la testa su una roccia. E’ un pensiero che mi ha sempre accompagnato, soprattutto di notte: più si perde lucidità e più si rischia». Il prossimo obiettivo? «L’Ultratrail del Monte Bianco, ma queste gare sono molto costose. Dovrei trovarmi uno sponsor».
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Il Gazzettino