Ritorno dall'inferno Turchia, i vigili del fuoco: «Recuperate 8 salme, anche un bimbo abbracciato alla madre»

La squadra tornata dalla Turchia
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BELLUNO -  Sette giorni – da sabato 11 a sabato 18 febbraio - a caccia di una voce, di un segnale che venisse da sotto quel cumulo di calcestruzzo: un edificio di otto piani collassato per il terremoto, sito che era stato loro affidato. Il trevigiano Cesare Tubia, Simone Gaz dell’Alpago, Matteo De Min dell’Agordino e Leonardo Botta di origine pugliese, con il suo labrador retriver Michelle, sono i vigili del fuoco del Comando di Belluno tornati da qualche giorno dalla Turchia. Sulla divisa portano la scritta Usar (Urban search and rescue): un distintivo che dice già molto di loro che non dimenticheranno i visi di chi h24 aspettava di essere chiamato per il riconoscimento di un corpo. Una madre, un figlio, un marito. Otto le persone che la squadra bellunese ha recuperato sotto quelle macerie. Ma nessuna viva. 


Anche grazie al cane Michelle è stato rintracciato un bambino di tre anni.

Il racconto tra le macerie

Racconta Leonardo Botta, vigile esperto dell’Unità cinofila: «La mamma era avvinghiata, con la schiena in atteggiamento di protezione. Avvolgeva con tale forza il figlio tanto che abbiamo faticato per dividerli e metterli in due sacchi-salme. A riconoscerli il fratello di lei». Altro momento toccante: un papà con il figlio di soli tre mesi, uno vicino all’altro: «La mamma era riuscita a salvarsi. Hanno chiamato lei per il riconoscimento».


Gli Usar veneti erano una quarantina, partiti alla volta della città di Hatay-Antiochia insieme ad un contingente di vigili del fuoco friulani, lombardi, romani e toscani. «Eravamo divisi in due squadre, team Veneto e team Lazio – spiega il caposquadra Cesare Tubia – quattro erano le unità cinofile, il team Lazio non ne aveva e quindi due delle nostre hanno lavorato con il Lazio». Il campo base per i soccorritori arrivati da tutto il mondo si trovava all’Hatay Stadium. Qui, durante la pausa, i vigili bellunesi venivano per lavarsi, dormire, pulire il campo: «Dormivamo tre ore e mezza, quello che serviva per recuperare, di notte o di giorno a seconda del turno che capitava – a parlare è Simone Gaz, vigile esperto che ricorda l’emozione all’aeroporto - stavamo per imbarcarci e tornare in Italia e tutti i civili turchi che erano presenti si sono messi ad applaudire. C’era chi chiedeva di fare una foto con noi. È stato un momento in cui ho sentito la vicinanza e la riconoscenza del popolo turco nei nostri confronti». Su cibo e modalità di comunicazione dà risposta il caposquadra Tubia: «Avevamo le razioni K – poi è arrivata la Marina con la nave San Marco con pasta e riso e, da italiani, ci siamo inventati qualcosa. Per capirci usavamo il contatto con dei ragazzi turchi che parlavano inglese e facevano da interpreti». Per Matteo De Min questa in Turchia ha rappresentato il battesimo da Usar. Due le particolarità che lo hanno colpito: «Il clima, innanzitutto, per cui si passava da +15 gradi a -3, con una umidità che faceva sì che non avessimo mai il vestiario totalmente asciutto. Inoltre la cultura differente portava a dover rispettare regole diverse dalle nostre». Esempio? «C’era un contingente militare che controllava, dovevamo avvisare loro prima di rimuovere un corpo. E, ovviamente, consegnare i beni di valore che venivano ritrovati». Cesare Tubia, che già ha alle spalle esperienza di post terremoto, non ha dubbi: «Nel sisma si vive una situazione di impotenza, con impatto emotivo più forte che nell’intervento durante un incendio. C’ è sempre il timore, infatti, che arrivi una scossa di assestamento». Intervento di bonifica andato liscio, senza scosse quindi, quando insieme e De Min, attraverso una bocca di lupo, è entrato nei garage del condominio crollato. 
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Il Gazzettino